domenica 31 agosto 2025

ENCICLOPEDIA DEL FAR NIENTE la crestomazia sbriciolata di un sé - Nota critica di FRANCA ALAIMO e quattro poesie controindicate.

 





In genere le sezioni di un libro servono a sottolineare le diverse tappe tematiche del discorso. Ed, invece, in "Enciclopedia del fare niente" di Luca Gamberini, esse segnano passaggi formali e di stile di notevole interesse. In questo senso la seconda sezione 'Versi in prosa' costituisce il passaggio da una poesia più classicamente atteggiata - nella prima sezione- ad un'altra influenzata dalla sperimentazione linguistica -nella terza-.
L'unità del tutto poggia, dunque, su un punto di vista che, suggerito dall'estroso e, a primo impatto, oscuro titolo, mi piace interpretare come il punto di arrivo di chi, avendo accumulato nel corso degli anni i più svariati saperi, si arrenda infine all'evidenza del nulla in cui tutto è destinato a cadere.
Anche la poesia, una sorta di fiume verbale che scorre e trascina con sé la vita, o, se si vuole, un' enciclopedia di cose ed immagini accumulate invano nella memoria, partecipa alla transitorietà, sebbene, come scrive Luigi De Luca, l'autore rincorra "ogni tanto l'idea di una via a lui intitolata, una via di campagna sterrata e nebbiosa, che in pochi calpestano e quasi nessuno sappia dove si trovi", sognando per sé stesso e la sua poesia un'eternità per quanto modesta.
Questa idea di eternità, per così dire campestre, si sposa, del resto, appieno con la riproposizione di uno stile di vita che ricorda quello del Petrarca "solo e pensoso nei più deserti campi", assillato dall'immagine della donna amata che non lo abbandona nemmeno in mezzo al tripudio primaverile della natura. Quest'ultima, fra l'altro, costituisce, la cornice in cui si iscrivono tutti i versi della prima sezione della silloge.
Natura, amore e morte si vengono a configurare, in buona sostanza, i temi intorno a cui, come in tanti altri autori della classicità, si svolge la silloge. La novità sta nella lingua, specie in quella sperimentata nei testi in prosa poetica, non solo per l' immissione di lemmi attinti ai più vari settori in un miscuglio di alto e basso, che parrebbe imitare le sfaccettature del dire e dell'essere, ma che soprattutto ricorre - ostacolando la piena comprensione- ora al deragliamento semantico, ora ad un accumulo onirico di immagini, ora ad un incontrollato, delirante flusso verbale. Sembra che solo questa sonorità possa riempire i vuoti, saziare la solitudine, commentare perfino, come uno scorrimento di sottotitoli, un'esistenza che afferra ovunque il vuoto. La donna amata è lontana, il passato appare come una voragine, il futuro una dimensione ignota e forse improbabile.
Eppure, mentre leggiamo i versi di Luca Gamberini, qualcosa di luminoso ci sorprende: la bellezza dei fiori, degli animali, la voce del mare e la sua vastità, un merlo che gli accarezza il buio, un "bicchiere colmo di luce": minime epifanie colte da uno sguardo che riconosce la bellezza e che per questo tanto più si addolora per la sostanza effimera di ogni cosa ed evento.
Non per nulla, lo stesso autore nella sua "Nota auto critica" (pag. 175/176) descrive la gioia di potere vedere, ora che non è più abbagliato dalle luci artificiali della città, "la notte illuminata solo da stelle, che meraviglia questo creato se privo di artificio". E aggiunge che da questa contemplazione gli viene la forza di alzarsi "e ricominciare a fare niente", ed io mi chiedo se, in fin dei conti, non si tratti dell'otium dei letterati di un tempo.

Franca Alaimo.

*****

Forse è troppo presto per invecchiarsi,
per indossare l'autunno al cotone.
Forse è solo una sera, nella quale
ti accorgi di avere sepolto le cose deluse
e non rimane altro da fare, nel giardino -
di un ospedale - dai fiori contusi e
dagli arti sfogliati. Forse, come un corpo
agitato in un'acqua tranquilla, una voglia è rimasta;
l'odore del legno sulla pelle destinata alla concia,
sale quanto basta, la nuova casa delle parole promesse
è quasi ultimata, l'ospedale svenuto all'intonaco,
l'acqua - ingrassata da risa di radici quasi spezzate -
a mangiarsi il margine di tutti i domani.
Fumeremo erba al sospiro, trascurando le foglie.

*****

Noi non abbiamo un Dio, siamo due perdenti che possono vincere soltanto insieme nella cura di quel che resta del giorno, nell'entusiasmo del poco che ci accomuna al dopo cena. Il nostro non saper crescere ha reso adulto il pensiero, ma la mano, l'occhio, il piede, tutto è rimasto fanciullo, come un ritorno nello spirito del luogo.

*****

Via Emilia

Eri brava a fare poesia
un talento indifeso
ti bastava guardarmi
dove non ero, confondermi
con i tuoi desideri, mentre
contavo mosche sui vetri.
Eri brava ma non eri tu
nemmeno noi ora si può
comprendere il significato
di questi abbandonati versi
come a vegliare un morto
autenticare una firma falsa.
Eri brava e forse ora
sei ancora meglio di
ciò che sei. Nei tuoi occhi
nuovi progetti di schiene
diritte e un dolore che non si
spezza, declive allo specchio.

*****

Si attendeva
il ritorno a casa della notte
con già pronte cento domande
di cristallo infrangibile
a l'espèttoro.
Si guardava
navigare i violini
gioiosi diluvi di brevettate vedove
all'insaputa di fedi incagliate.
Le finestre
ti fanno pensare all'ammirazione
per nebbie distratte dal rovistare del tasso
tra le insanguinate sponde
di lacerate labbra
tana di lupi
nei mattini di tormenta
al bosco grigiastro
che non vuole invecchiare
allo svolazzo
tra secche di gomma.
Ascoltando Chopin si dimena
la polvere incisa
nell'ortografia di una lingua
da far girare la testa
ad ali sfiancate
impeto di nere porte
infagottate parole di poeti scaduti
tra fiamme inadatte a sfornare il pane.

*****

Luca Gamberini è risorto nel 1967 a Bologna, si sa che ha rifiutato tutti i cookie e poco altro.

2008 Come un cane… con un cane (Montedit – Poesia) 

2013 Racconti per bambini adulti (Lettere Animate – Narrativa)

2016 Mi sgridi i piedi (Youcanprint – Poesia)

2018 Enciclopedia del far niente (96, rue de -La- Fontaine – Poesia)

2019 The best of (Youcanprint – Poesia – Narrativa – Aforismi)

2020 Manifesto dadaista pandemico (Nolabel - Poesia decoupage)

2022 Lo sguardo deluso degli specchi (Youcanprint - Poesia)

2023 Le mie poesie per te (Dearcity – Poesia)

2025 Atti di vandalismo culturale (Nolabel - Poesia clandestina)

2025 Memorie di un disoccupato mentale (Dearcity – Fannullologia)


lunedì 21 luglio 2025

Mara Mattavelli LE FARFALLE DI NABOKOV


LA SFUMATURA COME METODO DI COMUNICAZIONE

(il poeta vede ciò che resta fuori dalla rete)

Le farfalle di Nabokov è la seconda opera poetica di Mara Mattavelli, dal titolo ingegnoso, con una cover accattivante che induce il lettore a porsi d'istinto una domanda: sarà una farfalla a forma di chiave oppure una chiave a forma di farfalla? Probabilmente, la soluzione poetica di Mara risiede dentro a questa breve silloge, candida e minuta, suddivisa in quattro sezioni, dove al lettore sorgerà spontanea un'altra domanda: se, nel contesto, il poeta sia farfalla o fiore. Durante la lettura risulterà evidente il pensiero della poeta bresciana, imperniato su due forme di ironia, alata e nebulosa che si incrociano spesso nel suo cielo. Mattavelli ha intuizioni vincenti, adopera termini comuni riuscendo a rimanere originale, non si accomuna a nessuno e ha la capacità di elevarsi proprio quando deraglia dal binario dell'indottrinamento poetico. Ha grandi potenzialità, Mara, dovrebbe osare di più, occuparsi meno della parte tecnica, le sue metafore sono antenne in grado di captare il multiverso giusto, le sue ali vanno lasciate esposte al rischio di vivere. Ancora sto pensando al significato di quella chiave, vediamo di analizzare brevemente le quattro stanze poetiche nelle quali Mara invita il lettore.
Nella prima stanza, NELLA NATURA, si entra senza apparente fatica... [Ciliegi in fiore di bianco vestiti...] Si evince sia una stanza a cielo aperto [...nuvole che disegnano e poi cancellano...], mi colpisce il fatto che alcune poesie abbiano come titolo una data, questo va in contrapposizione con la natura che è fatta di ere e non di date, forse la poeta vuole trasmettere la consapevolezza della nostra inutilità, rimarcata attraverso il trascorrere del tempo [...parla il silenzio, lungo la sera...] e lo sguardo interiore, che ognuno di noi possiede, è l'unico in grado di fissare un'epoca in un istante. Il secondo vano IL MIO CIELO è brevissimo ma con annesso balcone [... si fanno belli tutti i fiori... ti lasciano un sorriso e nulla in cambio...] Mara sembra quasi volerci dire: sono qua per difetto, una sfumatura il mio colore, sembra dire di sé, colore confortato dal cielo che rispecchia le sue fermate, le sue ripartenze, cielo che la sostiene. La terza stanza ospitante LA ME DI PRIMA, ha la funzione di ripostiglio, anche questa è una sezione breve, forse per confermare che è inutile trascinarsi dietro un passato, ciò che siamo oggi è inevitabilmente il frutto di ciò che siamo stati ma non siamo più o forse siamo sempre noi e ripetersi è l'errore. Altrimenti si scende in tonfo a bruciapelo e non sempre c'è la neve fresca a proteggerci dal ghiaccio. Prima di uscire dalla stanza si viene invasi dal profumo de il pane buono dei nonni, a rivelare la vera entità del sogno: il ritorno a casa alla fine del viaggio. Credo, o almeno mi illudo di avere trovato la chiave, senza avere spezzato le ali alla farfalla. NATA D'APRILE è l'ultima stanza da esplorare di questa casa di pagine. Ariete o Toro? Poco importa, lei vuole solo le vocali del sole e accenti messi in ogni dove. L'importanza delle stagioni, dei fiori, dei colori, sono entrato nel mondo mattavelliano senza l'ausilio del retino, mi sono volate attorno svariate sfumature, in poesia si tende a idealizzare e io non so se ho idealeggiato bene, inseguendo farfalle. Rispondendo al quesito iniziale mi viene da dire, in questo caso: il poeta è il fiore. Al di là della mia visione, ritengo straordinario il fatto che un libro apparentemente esile e inoffensivo nella forma esteriore, possa contenere molteplici argomenti di discussione, crescita ed eventuale confronto. Questa è la magia della poesia.
*****

Nuvole

La nuvola disegna e poi cancella:
vedi il cespuglio prima che sfiorisca,
le cime tondeggianti farsi punte,
vicino un dragone lancia fiamme,
svanisce la sua lingua torna striscia.
Nel girone del vento tutto sfuma
quello che ti sembrava non era prima.

*****

Mara Mattavelli è nata a Orzinuovi (BS) dove vi abita un tipo che ha fatto il militare con me. Sua vicina di culla, Lisa Langseth, insieme alla quale ha cominciato a memorizzare i primi versi. Viaggia per amore e scrive per passione. Non è mai stata al Number One.

Mara Mattavelli ha pubblicato:
PAROLE IN FIORE (2023 Marco Serra Tarantola EDITORE)
LE FARFALLE DI NABOKOV (GATTOGRIGIO EDITORE)

venerdì 14 febbraio 2025

Elena Milani - LE RONDINI AL RITORNO

 


Elena Milani
 LE RONDINI AL RITORNO

Vi sono pagine di poesia che trasmettono l'urgenza di farsi ascoltare. L'efficacia poetica di Elena Milani appare lampante fin dai primi versi di questa silloge, scaricabile gratuitamente sul blog di Flavio Almerighi e da poco disponibile anche in formato cartaceo. Elena Milani narra la condizione derivante dall'abnegazione: c'è poca esistenza nella sua poesia e, al contrario, tanto vissuto, tanta vita dedicata al sacrificio. La sofferenza come mezzo di comunicazione, filo conduttore, d'altronde pure Bataille lo sosteneva, dicendo che l'essere umano se non soffre tende ad atrofizzarsi, risultando poi banale, insensibile, borioso, poco comunicativo (sebbene, egli, creda di esserlo maggiormente in quel frangente di non sofferenza). I versi di Elena Milani sono straordinariamente semplici, le sue metafore giovevoli, in lei spicca la tendenza a sopportare, ma senza negare la consistenza illusoria del sogno, lo slancio provocatorio generato dal dubbio. Milani affronta con ironia le proprie debolezze, le lascia andare senza però perderle mai di vista, come un fiume che scorre trascinando a sé gioie, disastri, imperfezioni, mancanze, slanci, affetti. La vita di paese forma una conflittualità tra protezione e limite, che emerge prepotentemente nei ricordi di infanzia, ma, come dice Pavese, un paese ci vuole non fosse che per il gusto di andarsene via, ma Elena è rimasta, salvandosi dal diluvio da sola, in silenzio, come un iperico nascosto sotto la veste del tempo che scorre, un'evoluzione poetica dalle radici ben piantate a terra. Le parole? Sono arrivate dopo, o forse, semplicemente, tornate ad abitare la sua casa, dove tutto pare vivere sempre per la prima volta, come la neve quando cade. Le sue poesie sono neve che riscalda in attesa del ritorno delle rondini. Tutti ritorniamo, nessuno se ne va per sempre.

*****
Di tutti gli amori corrisposti

[quello dei cacciatori di parole
dei maratoneti sui righi
dei saltimbanchi fra i versi
di quelli che d'un petalo
ne fanno una virgola
e nel punto non trovano la fine]

il più bello è quello fra i poeti
che passano attraverso
il cerchio infuocato di una “o”
che acchiappano la luna per la coda
per farci il bagno insieme, giù
nel mare, nei dialoghi segreti scritti
abitano lidi d'infanzia
atolli di solitudine felice
inferni che non consumano
e cieli dispersi di cui si sfamano.

*****

Se aveste conosciuto mia madre
ve ne sareste innamorati.
Tutti.
Passando, tagliava in due il paese
con la sua rabbia la sua dolcezza
nascosta
il canino storto simpatico.
Tutti la amano, da quando è morta.
Come la vita che si sogna da lontano
come una scala priva di corrimano.

*****

Non è che fossi davvero brutta,
nessuno lo è mai per sempre e per davvero,
ero solo diventata una tovaglia da tutti i giorni,
con la macchia di vino
che ha dimenticato il brindisi
e prende un colore che non sa più di niente.
Ero nella centrifuga lunga
della mia lavatrice,
gli occhi smorti nell'oblò.
Ero il dovere che resiste,
il ringhio fra le fauci della tigre in gabbia
quando la frusta schiocca,
ma si dice che è solo per gioco.
Ero spenta senza il lusso del divano,
nè bianca, né nera,
senza la gioia dell'amore,
la sorpresa nel grido,
il rosso vivo dentro la macchia.

*****

Elena Milani che vive in un paese, lì su gli appennini, è nata sotto il segno del drago in un giovedì di febbraio, suggerita al pianeta da John Steinbeck, Liz Taylor e da un giovanissimo Bernardo Bertolucci, il tutto mentre la radio trasmetteva a manetta Una lacrima sul viso di Bobby Solo, tanto che Elena, per vendicarsi di Bobby, contagia tutti col suo sorriso, da quel giorno, ogni giorno. Ex fumatrice, ha affrontato tutte le esperienze necessarie per definire la propria dimensione di poeta. Vive, cucina e scrive a Pian di Setta, vicino a Bologna.

giovedì 1 agosto 2024

100 POESIE - IL GIARDINO POETICO DI FRANCA ALAIMO

 



[Ogni giorno dai vasi/ sul balcone affiora/ alla luce un altro fiore… 

Poi tutto scompare/ fiori d’oro, arance/ mal di luce.]

Mi avvalgo della facoltà di citare Dino Buzzati per provare a definire la poesia di Franca Alaimo: << C’è un sistema semplicissimo e pratico per stabilire se una poesia è vera poesia: leggetela distrattamente, meccanicamente, senza il minimo sforzo, addirittura pensando ad altro. Se è poesia di quella buona, state pur certi che qualcosa vi entrerà nel cervello, vi toccherà come una punta.>>   Confesso, una osservazione minuziosa delle sue parole non la sono riuscita a fare senza aver dovuto chiedere aiuto a un grande narratore, Franca è come una bambina che ti scappa da tutte le parti, la insegui e, quando ti fermi affannato, piegandoti con le mani sui fianchi, te la ritrovi lì davanti, saltellante, dicendoti: <Hai visto quanto è facile scrivere una poesia, è sufficiente parlare con Dio, nutrire un fiore, prendersi cura di un gatto.>  Poi ricomincia a correre e, allora, leggendola, ti accorgi che la vita vale sempre la gioia di essere vissuta anche quando ti fa sentire come una conchiglia, estirpata dal mare e tenuta in giardino per fare apparire, il possidente, migliore. Ma noi non siamo niente, come recita a se stessa Alaimo dialogando con il suo Dio. Ma chi è il Dio con il quale si confida? Vogliamo immaginare sia il creatore del suo giardino, inteso come foglio, oppure è, quel Dio, la solitudine con la quale ognuno di noi convive più o meno pacificamente? <<Dirmi che sono una bambina, anche se sono avanti negli anni, ma lo so che il cuore  non tiene in conto se non il ritmo del suo battito. Finché c'è, viva comunque la vita.>>  E così succede, leggendo, di vedere sbucare dal foglio due mani rugose di bambina, protese verso le arance che nessuno coglie, quella sensazione di non essere abbastanza niente nel guardare fiorire il ritorno alla casa dove tutte le cose smettono di morire e, forse, anche di soffrire. 

<<Si tratta, comunque, di soffiare sulla "bua" e tutto passa. Quando eravamo bambini, lo credevamo davvero, perché eravamo solo amore.>>  Franca Alaimo.


Sono la bimba di ieri
che colora le labbra
col succo delle more,
e dice: io sono un fiore.
Non so quando, ma
diventerò una viola.
Mi alzerò su uno stelo
fluttuando nel cielo
come un aquilone.

*****

Franca Alaimo è nata a Palermo, dove risiede, con la sua gatta Ninnetta e un bellissimo balcone fiorito, a quattro passi dal mare. Voce influente della poesia contemporanea, è franca di nome e di fatto. L'ultima sua pubblicazione è:

100 POESIE - 2024 peQuod

mercoledì 24 luglio 2024

DOVE NEVICANO LE VIOLE - LE VIRGOLE SOTTO IL SOLE DI ANNA MARIA SCOPA



 L'inchiostro per innaffiare le parole, così come l'acqua per innaffiare i fiori. E la neve? Forse come stato embrionale delle cose, dico forse perché non lo so: DOVE NEVICANO LE VIOLE è un viaggio verso e attraverso la fioritura del destino, Anna Maria si prende cura di questo giardino che è la vita, con le sue speranze, le sue delusioni, le sue amare verità, il suo portare attenzione. Quando leggo un libro di poesie sono molto meticoloso riguardo la lettura dei titoli, delle stesse, a volte i suddetti sono poesia nella poesia, non so se tutti coloro che leggono con trasporto una silloge fanno caso a questo, io sì, e se si volesse giocare con i titoli, oltre a scoprire la smisurata commistione che si riscontra tra l'anima di Anna Maria e i fiori (a mio parere, in questo caso, simbolo delle stagioni e degli accadimenti) si riuscirebbe a ricavare una poesia di grande intensità emotiva. La Scopa dà soltanto risposte, perché in natura non esistono domande, esiste solamente un tempo che trascorre senza passare, dove tutto fa parte del tutto, non si getta niente, nemmeno l'esperienza negativa: in lak'ech, sembra sussurrare Anna Maria alle sue creature, mentre dormono sotto una neve di viole scagliate da Cupido, in attesa del ripetersi di quel miracolo che chiamiamo amore. Nella silloge si respira anche una grande passione per il mare, Anna non lo dichiara apertamente ma il mare è il suo rifugio, il ritorno al proprio stato primordiale, la necessità che in alcuni periodi della vita si fa impellente, da qui forse l'urgenza di scrivere, di comunicare al mondo il proprio atto di coraggio: affrontare la vita, prendendosi cura dei fiori. Mi viene solo da chiederle: cosa succederebbe se il suo inchiostro smettesse all'improvviso di respirare? Smetterebbero di cadere le viole? Non mi interessa sapere la risposta che forse è l'oggetto stesso di questo libro, io me la sono data leggendolo, ma non ve la dico.

"Quando ci si ammala davvero / è tutto dentro / non ti basta fare il cambio di stagione."

martedì 23 luglio 2024

Giancarlo Sissa ARCHIVIO DEL PADRE

                                                     


                                                                                                                                "Ma nell'ufficio delle cose perdute
devo, in cambio dei vent'anni, ridare tutto quello che ho."


Canticchio Gino Paoli dopo avere bevuto una bottiglia di versi del poeta Giancarlo Sissa, poeta di valore assoluto, oltre che custode di grandi valori umani.
"Ha nevicato tutta la notte. Il vapore sui vetri del bar. Devo comperare scarponi nuovi. Mandarti queste povere cose immense della vita." ...
Ed è proprio, la sollecitazione dei valori, il leitmotiv di questo intenso diario poetico, scritto a sorsi, per dare possibilità al lettore di gustarlo, come si assapora una bottiglia di vino contadino, genuino e gradevole. Sissa fa parte, a mio modo di leggere, di una ristretta categoria di poeti non 'catalogabili', totalmente al di fuori di quella vasta cerchia di non poeti camuffati da poeti che si somigliano tutti tra loro. Con i suoi versi frammentati, scava, smonta, assembla, percuote, accarezza, smussa, dipinge, sempre con smisurata affabilità. Archivio del padre è una sorta di diario dove il poeta annota gli stati di decomposizione della materia che, trasversalmente, rende poi eterni attraverso il ricordo.
"Padre caro ti somiglio. Sorrido come te. Mi siedo come te. Di là dal tavolo ho la tua stessa voce. Fra poco non mi ascolteranno."...
Mi sono trovato molto vicino a questo processo di identificazione familiare, spesso mi succede di vedere, in me, mio padre, sensazione che oserei chiamare 'sentimento della ripetizione', nel senso che il nostro cambiamento è come se non derivasse da un innovarsi, ma da un ripetersi, in Archivio del padre c'è un verso (Viene il giorno che finalmente non contiamo più nulla...) che porta proprio a questo concetto, accettare il fatto che verremo sostituiti, ma, aggiungo io, da noi stessi. Sissa, con il suo fare di poesia genialmente tartaglione, mi ha avvicinato alle sue angosce, alle sue paure, alle sue speranze, ai suoi dubbi, che sono diventati i miei, penso che difficilmente potrà giungere al cuore di chi mantiene viva una posizione falsa, atteggiandosi a maestro di se stesso. Non c'è morale in Archivio del padre, non c'è competizione tra familiari, ci sono incomprensioni e gesti, compresi dopo anni di teoria dell'inconscio, c'è vita vera che si ripete nell'io sono l'altro tanto caro a Rimbaud. Dal mio modo di vedere le cose ritengo il contributo della poesia "Sissiana", a questo tempo, un contributo importante. Leggere Archivio del padre è necessario.

giovedì 9 maggio 2024

Viviana Viviani

 




LA POESIA TOTALITARIA DI VIVIANA VIVIANI, ESTRO A PRIMA VISTA

Poi, si può dire che ognuno è bravo con le poesie degli altri rivedute e corrette, di Viviana Viviani no, non si può dire. Lei è capace, con le sue poesie, semplici, perentorie, inderogabili di estrarre il coniglio dal cilindro dell’ambiguo, svelandolo con il cinismo e l’impudenza tipica della bambina -per nulla- impazzita. Viviani è semplicemente Viviana, non dà nulla per scontato, con lucida ironia si mostra, fragile, sferzante, nuda come la donnina che vede passeggiare per strada e che poi all’improvviso scompare dalla vista ma non dalla mente, perché Viviana è la voce di tutti noi, di quello che siamo stati e abbiamo pensato almeno una volta nella vita e, attenzione, tutto ciò potrebbe apparire ovvio ma non è affatto così: Viviana possiede il tocco del fuoriclasse, di quelli che ne nasce uno (se va bene) per generazione. Le poesie di Viviana Viviani prendono vita senza complicazioni psicologiche dettate dalla necessità di trovare l’adatto, anzi, è proprio nell’inopportuno che lei trova la pertinenza, è nella fragilità che riesce ad esprimere tutta la sua potenza, senza timore alcuno di risultare inconsistente all’occhio intollerrante di una nicchia che spesso ricerca l'anticonformismo attraverso l’eclatante, senza trovarne mai la quadra. Viviani, con la parola, evoca la presenza del sentimento nell’attimo stesso in cui lo nega, sembra quasi volerci dire che l’unica vita possibile da affrontare, al riparo, sia una morte giovane.

 

 

 

A CHE DARO' IL TUO NOME

A che darò il tuo nome?

Che cosa ti assomiglia?

Forse a un cane docile

per crederti fedele

o a un gatto bugiardo

per impazzire a cercarlo,

la barca costa troppo

e non so navigare

e già in troppi racconti

sei vittima o assassino.

 

Se nulla ti assomiglia

non resta che una stella

a cui darò il tuo nome

la comprerò in offerta

da qualche truffatore

la comprerò in offerta

insieme a un frullatore.

 

***

 

 

FINGO DI NON AMARTI

Fingo di non amarti

rispondo tardi

mi sento scaltra

se sbaglio apposta

il nome dell'altra

mostro indifferenza

distrazione e assenza

dico stiamo insieme

finché stiamo bene

viviamo il presente

senza promesse

sotto queste sciocchezze

da donna cresciuta

tengo nascosta

la bambina impazzita.

 

***

 

QUEL GIORNO

Solo ieri rovesciavo formicai

lanciavo sassi nel sole

facevo correre cavalli in verticale

cucinavo a Ken torte invisibili

mi nascondevo dietro porte trasparenti

dalle maniglie d’oro e di diamanti.

 

Poi non so cosa accadde

come quando attendi l'ebollizione

dell'acqua o il sorgere del sole

fu solo un momento di distrazione

dormivo con il mio cane accanto

mi sveglia e lui era di pezza

e tutti gli altri giocattoli in soffitta.

 

Oggi ho una casa e un'automobile

quando si rompono le faccio aggiustare

mi sveglio tutti i giorni sempre uguale

addebiti accrediti cose da sbrigare

muovo i miei cavalli tre più due

e compro surgelati tre per due.

 

Oppure fu un genio cattivo, iracondo

a scacciarmi dal tempo infinito

dal centro del mondo.

 

 

***

Viviana Viviani è nata a Ferrara, a poca distanza dal Parco della luna. La leggenda narra che sia la figlia segreta, frutto di una relazione musicopoetica, di Lucio Dalla e Wislawa Szymborska. Non parla il polacco ma la sua biografia definitiva si chiamerà quasi certamente “25/1/74” perché a modo suo è un’artista, accarezzata dal genio pure lei.

ENCICLOPEDIA DEL FAR NIENTE la crestomazia sbriciolata di un sé - Nota critica di FRANCA ALAIMO e quattro poesie controindicate.

  In genere le sezioni di un libro servono a sottolineare le diverse tappe tematiche del discorso. Ed, invece, in "Enciclopedia del far...