Visualizzazione post con etichetta Emilia Filocamo. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Emilia Filocamo. Mostra tutti i post

giovedì 13 luglio 2023

Emilia Filocamo

 


EMILIA FILOCAMO, IL DONO DI APOLLO

Emilia Filocamo nasce a Pompei il 13 Febbraio 1977 sotto il segno dell’Acquario, ma è un Acquario atipico, impreziosito di corallo. Laureata in lettere classiche, Il suo primo romanzo, Wolfskin, un fantasy – thriller, è stato pubblicato negli Usa per la casa editrice Agorà (2009). Si può tranquillamente definire, il suo stile di scrittura, in poesia, filocamiano: lievemente plathiano, vagamente pozziano, ma semplicemente unico. Di sé dice: il mio cuore è il posto più lontano in cui sono stata. Le sue poesie sono una narrazione epistolare a senso unico, un continuo dialogo con se stessa, una eterna resa dei conti tra lei e il proprio io. Poesia mediterranea e, come il mare, smisurata: così la si potrebbe fissare, monologhi che serbano un profumo di antico, di puro ed erotico al tempo stesso, a tratti lambisce la mitologia greca, narrando l'amore ma senza mai cadere nell'anodino, poi si lancia senza freni e mentre pare essere riuscita a dominare quel vento che arricchisce la sua terra, eccola ripiombare nell'oblio di un mare in burrasca, sorgente interiore del suo dirsi.

Emilia Filocamo non ha al suo attivo pubblicazioni poetiche e questa pare a 2023 compiuto, una scelta condivisibile, la quale conferisce ancora più valore al suo essere poeta.


*****

Cento più due

Del mio amore posso subito dire il nome:
è un respiro, un frullo di ali, la cena che raffredda a gennaio, una pausa di ciglia, lo schiaffo già incolpato di vento. Del mio amore conosco due giorni, una paura morta sul letto dove è caduto l'abbraccio. Io so che dieci è la nostra bambina tirata fuori una sera alle diciotto dal cielo a dire i miei ricci e la bocca di pianura del padre.

*****

Il terzo giorno non sorgerò, inutile aspettare la festa, prenotare sul ciglio della strada un becco di panorama. Sono un Lazzaro disobbediente, un infermo gaudente nella posa che lo fa tegola di un nuovo dolore, un'insana ostentazione del malanno annunciato. Il terzo giorno sarò un abracadabra pronunciato da un balbuziente, un podio che aspetta lo zoppo. Non fate ressa e non tenete i confetti accecati nel tulle spinoso, piuttosto mettete una guaina al sorriso, chiudetelo accortamente in un momento qualunque. Gesticolate poco e di nascosto: guai dovessi sorprendervi a benedire quel pasto. Mi conoscete, non so dire bene il mio male, piuttosto lo mimo e sembro una mantide prima del morso. Mi conoscete, o forse no: ho una novità incartata come il feto lo è dalla pancia. Ha un cuore che pare avorio, ma vorrei avesse zanne per mangiare alla vita il bolo rubato. Ha una bocca che fa dire alle mani cose che mai saprò più belle. Il terzo giorno non sorgerò ma portate al suo cospetto la mia pagina come sudario: che sappia, grazie a lui, quante volte non sono morta.

*****

MUTA
Se odio le parole? Certo che le odio:
le vedo venire fuori come formiche da un buco affamato.
So che mi daranno il tuo respiro, la curva delle tue paure,
anche la forma maliarda del cuore, ma non sapranno
afferrare la tua pelle, spose incoscienti che rubano
il nero alle vedove. Vorrei soltanto ucciderle, portarle
alla pagina come ad un promontorio, sgozzarle, finirle,
assieparle senza concedergli desideri. E non voglio angeli
a fermare la mia mano quando farà mattanza di se stessa
e della sua folle progenie di versi che mi danno
un solo cane di speranza e pascoli prolifici di dolore.

*****

Cento quarantatre

La paura è venuta a farmi visita: a quest'ora la strada è sgombra.
Le ho preparato una sedia, una pausa di legno che non usavo più,
ho spalancato la bocca solo una volta per provare il saluto.
La paura vuole rispetto. Mi sono vestita con cura, noi siamo il
lume e la candela, lei è seria, io pure, lei vince, io no.
Ci sono tante forme fra i rami stasera: alcune ricordano
il mio banco di scuola, altre sono lavagne, due nuvole
sono state bocciate. Alla paura ho detto di te e di come
mi ami, lei ha festeggiato una smorfia e bigiato la gioia,
mi ha detto che ti spingerà più in là del mio cuore,
perchè tu hai ali, io ganci. Allora ho urlato e le
ho rotto una gamba con i denti e le ho rotto la rotta
con cui mi puntava. Voglio imparare il tuo volo e
anche se la vita ha licenziato le mie piume, so che
da un angolo della tua mano assaggerò il cielo.

*****

A NOSTRA FIGLIA

Lei sarà come noi, con un bargiglio
di tristezza sempre pronto ad esploderle
negli occhi, come dovesse scusarsi
di essere azzurro. Lei sarà la tua
pelle e nebbia, la mia carne
ed onde, sarà acciaio e piuma.
Ma non avrà punte nel nome
e chiamarla sarà sempre una carezza.


ENCICLOPEDIA DEL FAR NIENTE la crestomazia sbriciolata di un sé - Nota critica di FRANCA ALAIMO e quattro poesie controindicate.

  In genere le sezioni di un libro servono a sottolineare le diverse tappe tematiche del discorso. Ed, invece, in "Enciclopedia del far...