EMILIA FILOCAMO, IL DONO DI APOLLO
Emilia Filocamo nasce a Pompei il 13 Febbraio 1977 sotto il segno dell’Acquario, ma è un Acquario atipico, impreziosito di corallo. Laureata in lettere classiche, Il suo primo romanzo, Wolfskin, un fantasy – thriller, è stato pubblicato negli Usa per la casa editrice Agorà (2009). Si può tranquillamente definire, il suo stile di scrittura, in poesia, filocamiano: lievemente plathiano, vagamente pozziano, ma semplicemente unico. Di sé dice: il mio cuore è il posto più lontano in cui sono stata. Le sue poesie sono una narrazione epistolare a senso unico, un continuo dialogo con se stessa, una eterna resa dei conti tra lei e il proprio io. Poesia mediterranea e, come il mare, smisurata: così la si potrebbe fissare, monologhi che serbano un profumo di antico, di puro ed erotico al tempo stesso, a tratti lambisce la mitologia greca, narrando l'amore ma senza mai cadere nell'anodino, poi si lancia senza freni e mentre pare essere riuscita a dominare quel vento che arricchisce la sua terra, eccola ripiombare nell'oblio di un mare in burrasca, sorgente interiore del suo dirsi.
Emilia Filocamo non ha al suo attivo pubblicazioni poetiche e questa pare a 2023 compiuto, una scelta condivisibile, la quale conferisce ancora più valore al suo essere poeta.
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Cento più due
Del mio amore posso subito dire il nome:
è un respiro, un frullo di ali, la cena che raffredda a gennaio, una pausa di ciglia, lo schiaffo già incolpato di vento. Del mio amore conosco due giorni, una paura morta sul letto dove è caduto l'abbraccio. Io so che dieci è la nostra bambina tirata fuori una sera alle diciotto dal cielo a dire i miei ricci e la bocca di pianura del padre.
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Il terzo giorno non sorgerò, inutile aspettare la festa, prenotare sul ciglio della strada un becco di panorama. Sono un Lazzaro disobbediente, un infermo gaudente nella posa che lo fa tegola di un nuovo dolore, un'insana ostentazione del malanno annunciato. Il terzo giorno sarò un abracadabra pronunciato da un balbuziente, un podio che aspetta lo zoppo. Non fate ressa e non tenete i confetti accecati nel tulle spinoso, piuttosto mettete una guaina al sorriso, chiudetelo accortamente in un momento qualunque. Gesticolate poco e di nascosto: guai dovessi sorprendervi a benedire quel pasto. Mi conoscete, non so dire bene il mio male, piuttosto lo mimo e sembro una mantide prima del morso. Mi conoscete, o forse no: ho una novità incartata come il feto lo è dalla pancia. Ha un cuore che pare avorio, ma vorrei avesse zanne per mangiare alla vita il bolo rubato. Ha una bocca che fa dire alle mani cose che mai saprò più belle. Il terzo giorno non sorgerò ma portate al suo cospetto la mia pagina come sudario: che sappia, grazie a lui, quante volte non sono morta.
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