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giovedì 10 agosto 2023

Gianni Priano




IL PRIANESIMO IN QUANTO DISTINZIONE

Gianni Priano è come una temperatura percepita. Non è per come scrive, è per come arriva. Di lui so quel poco che ho potuto leggere e quel tanto che dicono i suoi occhi, te ne accorgi immediatamente che non ha frequentato luoghi comuni, sia chiaro, nulla di eclatante o di così detto speciale, Priano frequenta la normalità, quella vera, quella dove si confrontano  riflessione e consapevolezza. Scrivere è la parte di noi più vera che possiamo esprimere, come dipingere, come suonare. Non si possono affrontare queste tre discipline pensando di dover portare rispetto a qualcuno. Scrivere, dipingere, suonare, è un vibrare, aiuta a vivere meglio, questo è il messaggio che ho colto leggendo e ascoltando Gianni Priano, interprete del destino, conoscitore intrinseco del passato quando si annuncia a futuro. La poesia di Priano pare chiedere scusa di averti risvegliato, sebbene sia tu ad averla cercata, poiché il vero poeta non fa nulla per stanarti, spesso non si presenta neppure a se stesso, faticando a riconoscersi in ciò che gli altri apprendono da lui. Priano ci descrive un’umanità che non esiste più ma che in lui continua a vivere ogni giorno come fosse l’ultimo giorno, quello nel quale devi dire tutto senza lasciare nulla in sospeso e lo fa con la discrezione dei grandi, degli illuminati. Parafrasando Vitrac, il poeta genovese informa, l’ignaro, sul fallimento dello spirito moderno, ma Priano, a differenza dello scrittore francese, oltre a mantenere vivo un certo disappunto al riguardo del capitalismo, dimostra avere molta più cognizione di causa, creando l’effetto giusto in chi sa che l’uomo arriva sempre dopo la bestia, in chi sa che è l’uomo a ripararsi sotto a un albero e non si è mai visto un albero ripararsi sotto ad un uomo, a chi della poesia e della natura ne fa un manifesto. 



Gianni Priano è nato a Genova nel 1962, non so altro, lo immagino con paglia rollata di prima mattina e Campari, perché la sua lucidità è superiore. Pubblica libri da oltre trent’anni e va annoverato tra i facenti parte della “poesia dell’assurdo” per come descrive con garbo esemplare il catafascio dell’umanità. 



 (io amo i piccolissimi poeti)

Io amo i piccolissimi poeti .
gli idraulici che ascoltano nei tubi
parlare i morti e il carpentiere in ferro
rimasto appeso a un chiodo a penzolare
a centotrenta metri e vide il mondo
come volando  per un bel quarto d’ora
e poi si tirò su con le sue braccia
perché i soccorsi tardavano a venire. .
Mai scritto un rigo, non è del tutto vero
che è poeta chi scrive le poesie. .
Ma tra chi scrive, tolti i grandi morti
mi piacciono i poeti disarmati
scarsi di scuole e di letteratura
mi piace che chi scrive le poesie
lo faccia perché è la sua natura
l’annotazione, la verticalità 
lo sprofondare nella fogna buia
il risalire con un alleluia
scritto in faccia, prima, e poi su un foglio. .
Mi piace il poeta che alla fine
delle parole abbia solo voglia
di stare mani in tasca e naso all’ aria 
via dalla vanagloria letteraria.

*****

(sarò che cosa?)

Sarò che cosa? Un vecchio che vi scappa
un palloncino non di bel colore
come uno sputo in cielo, un professore
che non professa più ma è professato
dalla professione di malato.
Sarò alla fine- in pieno- realizzato 
con baci sulla punta delle dita
che immaginerò, con la partita
accesa sullo schermo mentre spengo
l’ultima luce in me che sono stato
un accensore del mio cuore andato
una buona volta a quel paese.
Non fatemi funzioni nelle chiese
neppure nella mia (che è la cristiana
a cui ho voluto bene, a modo mio)
ma salutate, sorridendo, Dio
col Padre Nostro detto da qualcuno
che lo sa dire. Salutate il mondo
con una strofa dell’ Internazionale
di Franco Fortini che vedrò
di sistemare dentro il comodino.
Non mi bruciate, non mi piace il fumo
di corpi umani, voglio ritornare
in pancia alla mia terra e verminare
comunemente, come a scivolare                                                                    

 con levità di soffione e piume                                                                     

barca di carta che se ne va nel fiume. 


*****

Il mare lo abbiamo guardato
e mescolato in ciotole
da pinzimonio. Io non ho
preso il largo, mai.
La vela era solo scena
e così il berretto
e le lezioni di cartografia.
Ma questo mare è un cane
bastardo che ringhia
(scuro come il catrame
verde come un'oliva)
e vuole annegare proprio

me, vecchio topo di riva.

*****

La parola dice poco. Se poi è una parola spessa, profonda dice ancora meno. Anche a uno come me che con le parole campa spesso prende la repulsione per questi segni scritti sui fogli, sugli schermi e nell’aria. Quelle di cui, poi, abusano i poeti e gli scrittori della domenica sono insostenibili. E insostenibili sono le mie parole superflue (tutte le mie parole sono superflue), le mie poesie ridicole e i miei racconti di cui non si sente il bisogno. I miei libri inutili. Non parlo solo per me ma anche per voi colleghi di penna, dita, lingua. Che quando va bene scrivete e bon, quando va male raccontate come lavorate sul linguaggio e fate le citazioni. E poi vi piacciono pure la barca a vela, l’alpinismo. E avete l’orto. Perché volete tutto, voi. Viaggiate. Siete informati. Avete un’opinione sui cumulonembi, su Giulio Regeni su Miles Davis e su Jennifer Lopez. E parlate. Ubriachi ai tavoli. Il venerdì sera. Godete con le parole. Ve le ficcate da tutte le parti. E nessuno che a testate vi spacchi i denti.
















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