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martedì 25 luglio 2023

Lara Pagani



IL ROMITAGGIO ELEGIACO DI LARA PAGANI

La poesia di Lara Pagani costruisce demolendo: è come un mare che tutto sopporta e tutto riporta a riva, mare capace di cullare o di travolgere senza lasciare scampo. Poesia capace di grandi slanci, pronti a commuovere il lettore, ma poi subito finisce la gioia e si rimane come barche prive di mare alcuno. Dov’è finito il mare? Dov’è finita Lara? Lara, come un mare, non è mai finita, lo sa bene chi ha imparato a leggerla e ad apprezzarla: perché la Pagani lascia comunque un’impressione positiva in quel suo muoversi tra rovine di pregio. Espone una collezione di magnificenti disastri, dove pare sentirsi a suo agio, tra distici amputati ed elegiache distrazioni non casuali, poiché la forma – in poesia – è il poeta: e l’unica regola vigente, in poesia, dovrebbe essere la sregolatezza di chi scrive versi di dolore superato, a volte incastrato o addirittura, come nel suo caso, incastonato. Le sue poesie sono trattati di teratologia dell’anima, la ricerca dell'essenziale mediante una semplicità di suoni, e distorsioni, disarmanti. Riesce a comunicare l'unicità del suo linguaggio tramite parole che tutti noi usiamo abitualmente, dipinge la miseria della disperazione umana, combattuta tra comodità e morale. Lara non va ingabbiata in luoghi comuni tipo la metrica, la punteggiatura, l'ovvietà del voler ricercare per ritrovarsi, lei non cerca nessuno, e tantomeno ricerca, si basta ma non lo sa, o forse sì, quello che non sa è quello che non vuole, lei sa come fare a farsi trovare, mostrando il suo lato emozionale e con struggente sfrontatezza ti sbatte in faccia la realtà. Sono i suoi tormenti, le sue agitazioni, a creare poesia, a convertire il disastro in capolavoro. Ad una prima lettura si potrebbe anche affermare che le poesie della Pagani abbiano i crismi di una rappresentazione hegeliana del suo mondo, ma Lara, a differenza di Hegel non dà nulla per scontato, nemmeno l’amore per quei riccioli biondi carne della sua carne. Si percepisce, dunque, la magia, in quel non farsi sottomettere dal proprio romitaggio, in quell'alone di dandismo con il quale tramuta le pozioni di inchiostro in immagini.

*****

Ho stretto amicizia con una pianta
dell’androne, accanto al portaombrelli.
Le racconto dei girasoli — di come 
è grande la mia gioia quando saltano
agli occhi da un cavalcavia: chissà 
se può immaginare i loro dolori. 
Vedo stralci di Milano dalle vetrate 
sbeccate del portone, uomini e donne 
con le buste della spesa, bambine
svelte sui gradini. Qualcuno c’è
che mi saluta senza più sorpresa.  

Da qualche mese vivo arresa —
accampata finché non torni  
in fondo alla rampa delle tue scale. 

*****

*rispondere*
Vivere non è un telefono che stacchi
con tutte le persone che ti cercano ancora dentro — ne senti le voci lontane
eppure riposi tale a una neonata,
sola come i felici. Vivere non finisce
così. Finisce che un giorno rispondi
degli atti compiuti col corpo fino in fondo.

*****

Questo amo di te: il tuo vuoto
di parole, il lapsus che ti racconta 
da un romanzo, la carezza invisibile 
a occhio nudo, la nuda mezza mela 
rimasta sul letto per errore. 


*****

Anche tu confermi che sono
un’imbranata. Nella vita di tutti 
i giorni non conto più le porte, gli spigoli
che prendo per distrazione, i caffè 
rovesciati al tavolino, il grado di tensione 
che mi porta a sbagliare le parole. 
Eppure a volte dici — mamma 
tu indovini il futuro, conosci tutti 
i miei segreti prima che li riveli, le canzoni
inglesi a memoria, non è che forse 
sei magica? Io ti stringo nello sguardo
per gli anni cupi, rispondo di sì. 

*****

Lara Pagani nasce nel 1986 vicino al mare, da una probabile staffetta con Simone de Beauvoir. È l'anno in cui Enrico Ruggeri pubblica l’album Enrico VIII (include il brano "Non finirà") l’anno del maxiprocesso alla mafia, di Cernobyl, della “mucca pazza”, ma Lara se ne frega, nasce e forse comincia a scrivere ancora prima di imparare a parlare, di sicuro sapeva già leggere. Laureata in lingue e letterature straniere, traduce testi dal tedesco, dal francese, dall’inglese. Forse fuma, ma non le Gauloises blu, suo colore preferito in tutte le sfumature antropologiche immaginabili.

 


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