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lunedì 2 ottobre 2023

Cristina Simoncini


 L’EMANCIPAZIONE POETICA DI CRISTINA SIMONCINI

Soltanto i poeti eleganti sono in grado di creare immagini, entrando nel cuore della gente mediante una descrizione esaustiva di vicende, appartenenti alla ristretta cerchia dei propri affetti, senza cadere nella banalità del sentimento. Cristina Simoncini dona alle proprie poesie una sorte in quanto memoria, una poesia scritta da Cristina viene liberata dalla costrizione commemorativa nella quale spesso un ricordo va a recintarsi, essa assume nuova tendenza attraverso gli occhi del lettore, la sua genialità consiste nel rimanere fedele all’atto simbolico diaristico di una narrazione, riuscendo a rendere straordinario il semplice. Leggere la Simoncini lascia spesso senza parole: si crea, durante la lettura, l’atmosfera che riesce a dare in fotografia un campo lungo, cioè il riconoscere solo le cose ferme che sono, o paiono, senza vita. Provate a leggere la Simoncini ad alta voce, vi ascolteranno perfino gli animali, immobili come le esibizioni da campo lungo descritte prima, immobili ma vivi, stupiti pure loro. L’incanto non contempla la fretta. E qui, riprendo il discorso, dopo la lettura entra in scena il silenzio, si rimane senza parole: l’assoluto, in fondo, è un silenzio. Fermo, composto. Tutto ciò che si muove è destinato a scomparire, la Simoncini lo sa bene, dimostrandolo attraverso l’eleganza con la quale inchioda alla pagina il lettore.

*****

*****

C’è intorno una dolcezza di volto,
si esercita nella mimica d’amore
nello sproposito di bocche.
Tu in piedi a osservare
il lungo abbraccio,
a insidiarlo con piccole saette
nello sguardo.
La sigaretta si accascia
e il buio si piega un’altra volta,
le parole si spingono
nella confusione.

  *****

certe sere in cucina dominava su tutto
il rumore sfaccendato delle sedie,
un tintinnio di luce sui vetri ravvivava
il tempo sonnolento – la sciatteria di tazze nel lavello,
parlavi e qualcosa, come un lampo di grazia,
sollevava anni di polvere dalle spalle
pigre e supponenti di tua madre
(a guardarla di sfuggita la attraversava
un’ombra, la latenza di un sorriso)

  *****

Mia madre non è morta in una volta sola
non l’ha spenta un ultimo fatidico respiro
come succede al resto della gente
se n’è andata con calma cominciando dai piedi
che si son fatti duri e gelidi come nelle statue
interrompendo il transito dei passi
poi è toccato al marmo delle braccia
arreso in una croce sul torace
che a fatica sotto quel peso si sollevava
gli occhi impauriti sono rientrati
nell’abisso insondabile dell’interiore
l'ultimo è stato il naso scolorito
che sventolava a mezz’asta in segno di commiato
quel poco di lei che rimaneva
stava intanato nel muscolo cardiaco
diffondeva nell’aria piccole pulsazioni
un alfabeto Morse con cui esortava
le persone amate, Su, fate presto, salutate!

*****
Nei suoi occhi brillava
a giorni una luce inviolabile
c’è sempre un segreto negli altri
una maniera di mancare
la vedevo affacciarsi a una finestra
e con un tintinnio innocente di parole
scivolare fuori dal suo vero
allontanare il grido dalla bocca.


Cristina Simoncini porta luce sul pianeta terra in un giorno di marzo, stando al calendario gregoriano, ma circa un mese prima aveva già manifestato la propria presenza contribuendo a far abolire, dopo oltre quattro secoli, l’indice dei libri proibiti. Dal suo predecessore, uno stimato poeta e drammaturgo di etnia baschira, tale Muchametsa Burangulov, ha appreso lo spirito di osservazione. Ed è da questa commistione che prende corpo il suo naturale talento, atto a trasformare anche un ordinario scambio di vedute in poesia. Dai suoi fonemi si evince un amore sconfinato per la filosofia, la vera figura retorica “fantasma" di tutte le sue ispirazioni, sebbene vada sottolineato che spesso la figura letteraria del protagonista sia insidiata dall’indipendenza delle immagini trasmesse. Cristina ha smesso di fumare, sorride a tutti, mangia patatine e guarda film.

giovedì 17 agosto 2023

Daniela Favretti

 IL GENIO MULTIFORME DI DANIELA FAVRETTI

 




La poesia di Daniela Favretti è autocoscienza, confermata nella vita sospesa, se non addirittura soppressa, dei suoi collage. Ciò che sembra venire annullato viene invece convalidato, ciò che vive dentro di lei sta al di fuori di lei, ciò che la mortifica è ciò che la motiva, la dinamica della sua poesia rimane misteriosa anche a se stessa, Daniela a volte si presenta infradiciata sebbene non sia caduta una sola goccia d’acqua, la sua esistenza immaginata è la sua esistenza. Il suo rivelarsi al mondo è un rivelarsi a se stessa: sarebbe riduttivo parlare della Favretti come si parla di un poeta imbevuto di solo inchiostro, Daniela è artista a tuttotondo, un continuo muoversi tra gli spazi, una incessante produzione di attività artistica, c’è la sensazione che sia Daniela ad inseguire il tempo e non viceversa: questa non è una osservazione da poco, poiché, concentrandomi sulla poetica favrettiana, tutto scorre tra le sue dita come se stesse per generare, ad ogni verso, la mancanza del lato umano, esibita nella sua versione intuitiva, propria della femmina che pochi come lei sono in grado di tradurre. Daniela Favretti fa un uso, abuso della storia per contrastare l’aspetto materiale impossessatosi dei suoi affetti più cari, come una sorta di Fenice moderna ricuce una ad una le parole che l’hanno uccisa e da lì riparte dimostrando al lettore di che pasta sia fatta la poesia quando a condurla vi sia un caposaldo del dolore subito. Se nel Medioevo un cittadino era costretto ad unirsi ai suoi simili per difendere la nobiltà della campagna dalla borghesia emergente, Daniela Favretti unisce, poesia, illustrazione, collage per proteggere ciò che ha, insegnandolo, di più caro: l’amor proprio.

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Esplicito e così comune
questo sabato che può
essere tacito dominio
di tasselli in sereno
disincastro di esperte
solitudini miniate in un guscio
di noce. (Nascere è atroce)

Tu dillo il mio nulla
latra come un cane
dubita e strofina
la rete che ti espone
le pudenda e altro
taci la sete fino
come sale trafigge
la soglia tra acqua
e sabbia e cupola
conchiglia col suo mezzo
mondo di orgoglio
che per meraviglia cela e fa
la Perla

*****

Poco prima dell'arrivo
del mio vuoto
la tua mano ha salutato
me che partivo
ma che restavo sulle tue scapole
a chiedere all’aria spostata
quante fossero le traversine
da una città all’altra
quante le finestre illuminate
di tutte le stanze da lì
a Bologna.Vermiglie
le mie scarpe, la falcata
sorvegliare con costanza
dimostrare di sapere
fare senza.

*****

LE ROTTE PAROLE

Fa un giorno
le parole ti siano rotte
per il sole
che’ non riesci
che’ duole piano
chi vuole darti
l’ amore che non sai farti.

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FAME

Come un guanto
solitudine feroce
traduce di te il vuoto
al posto della voce

la luce del pomeriggio
gli incanti dell’incudine del buio
hanno brillato gli occhi
nell’imbarazzo di un’audacia

forse che la mia attesa
fosse intanto far del tuo canto
un talismano, del tuo ascoltarmi
un vanto. Ma tanti venivano altri

intorno e tu dimenticavi
con fame di bambina, con la stessa
fretta in fretta barattavi
la mia distanza, tanta
con un contorno,
e la tua nuova pietanza.

*****

Daniela Favretti è nata a Ferrara nel 1962 sotto il segno del Capricorno, il film più visto al cinema quel giorno fu Il sorpasso di Dino Risi, Celentano cantava Nata per me, ma Daniela dimostrò fin da subito di essere nata per l’arte: illustratrice, poeta, pittrice, ha frequentato l’Accademia di Belle Arti e la Facoltà di Filosofia. Vive con Thea e Theo da oltre cinque anni.


ENCICLOPEDIA DEL FAR NIENTE la crestomazia sbriciolata di un sé - Nota critica di FRANCA ALAIMO e quattro poesie controindicate.

  In genere le sezioni di un libro servono a sottolineare le diverse tappe tematiche del discorso. Ed, invece, in "Enciclopedia del far...