mercoledì 30 agosto 2023

Maura Baldini

 Maura Baldini LA SLEGATURA  (Il Convivio Editore) 2022



Sono stata quello che sarò. Maura Baldini dirompe Maura Baldini. Questo, di primo acchito, riassume il Baldini pensiero, una silloge metempirica, punto di incontro, tra dolore fisico e dolore trascendentale. “LA SLEGATURA”, opera prima della poetessa verbanese, pende immediatamente verso il conflitto: “Il violino ridotto all’assolo […] …i miracoli sono ibridi di ossa e vento. Viene spontaneo, al lettore, domandarsi fin dal primo verso, se riuscirà ad uscire indenne da questo percorso ad ostacoli lessicali. La Baldini esce dall’ombra, esce dal nome, esce ma non fugge, esce per affrontare “come un rabdomante senza dono…” per scoprire che il nome è un tempo che resta. In tutto questo assume rilievo la figura del cane, a ignorare il volto, al quale basta la voce per riconoscere e riconoscersi. Il mio modo di interpretare questa silloge è cambiato quasi ad ogni pagina, questo depone a favore di Maura, capace di ripetersi senza fartelo intendere, ma attenzione: la mia non vuole essere una critica negativa, assolutamente! Il dolore della Baldini è reale, non richiede rincrescimento, il coraggio si misura in stanze, martoriando tastiere e dita. Da qui mi accorgo del ripetersi di un dolore che non abbandona mai le pagine, un dolore camaleontico, quasi imprescindibile, fricativo fino alla slegatura. Aspetto, ora, l’evolversi di questo conflitto tra Baldini, Maura in certi momenti pare narrare la vita da fuori campo, come se si trovasse in un’altra dimensione, non sono riuscito a comprendere quale – limite mio probabilmente – e perciò dal momento che alcuni libri – e questo lo ritengo tale – conservano l’ossatura dell’anima costante, quasi fosse l’armatura, a tratti malandata, capace di salvaguardare l’anima dal disordine, dall’incalzante assedio della Maura che resta sola a chiudere gli occhi, a parola scomparsa nell’oro fuso: a me piace pensare che la dimensione di Maura sia una spiaggia di mare col vento che spazza via il lago, la vera tana che tiene imprigionata cotanta bellezza. 

 

Resti, come sempre,
ai margini
di una luce di scarto
masticata da un cetaceo.
Come un'ostia in effetti svanisco
sotto la lingua di chi mi prega ancora.
Le mie mani in bocca:
non so questuare il perdono.

giovedì 17 agosto 2023

Daniela Favretti

 IL GENIO MULTIFORME DI DANIELA FAVRETTI

 




La poesia di Daniela Favretti è autocoscienza, confermata nella vita sospesa, se non addirittura soppressa, dei suoi collage. Ciò che sembra venire annullato viene invece convalidato, ciò che vive dentro di lei sta al di fuori di lei, ciò che la mortifica è ciò che la motiva, la dinamica della sua poesia rimane misteriosa anche a se stessa, Daniela a volte si presenta infradiciata sebbene non sia caduta una sola goccia d’acqua, la sua esistenza immaginata è la sua esistenza. Il suo rivelarsi al mondo è un rivelarsi a se stessa: sarebbe riduttivo parlare della Favretti come si parla di un poeta imbevuto di solo inchiostro, Daniela è artista a tuttotondo, un continuo muoversi tra gli spazi, una incessante produzione di attività artistica, c’è la sensazione che sia Daniela ad inseguire il tempo e non viceversa: questa non è una osservazione da poco, poiché, concentrandomi sulla poetica favrettiana, tutto scorre tra le sue dita come se stesse per generare, ad ogni verso, la mancanza del lato umano, esibita nella sua versione intuitiva, propria della femmina che pochi come lei sono in grado di tradurre. Daniela Favretti fa un uso, abuso della storia per contrastare l’aspetto materiale impossessatosi dei suoi affetti più cari, come una sorta di Fenice moderna ricuce una ad una le parole che l’hanno uccisa e da lì riparte dimostrando al lettore di che pasta sia fatta la poesia quando a condurla vi sia un caposaldo del dolore subito. Se nel Medioevo un cittadino era costretto ad unirsi ai suoi simili per difendere la nobiltà della campagna dalla borghesia emergente, Daniela Favretti unisce, poesia, illustrazione, collage per proteggere ciò che ha, insegnandolo, di più caro: l’amor proprio.

*****

Esplicito e così comune
questo sabato che può
essere tacito dominio
di tasselli in sereno
disincastro di esperte
solitudini miniate in un guscio
di noce. (Nascere è atroce)

Tu dillo il mio nulla
latra come un cane
dubita e strofina
la rete che ti espone
le pudenda e altro
taci la sete fino
come sale trafigge
la soglia tra acqua
e sabbia e cupola
conchiglia col suo mezzo
mondo di orgoglio
che per meraviglia cela e fa
la Perla

*****

Poco prima dell'arrivo
del mio vuoto
la tua mano ha salutato
me che partivo
ma che restavo sulle tue scapole
a chiedere all’aria spostata
quante fossero le traversine
da una città all’altra
quante le finestre illuminate
di tutte le stanze da lì
a Bologna.Vermiglie
le mie scarpe, la falcata
sorvegliare con costanza
dimostrare di sapere
fare senza.

*****

LE ROTTE PAROLE

Fa un giorno
le parole ti siano rotte
per il sole
che’ non riesci
che’ duole piano
chi vuole darti
l’ amore che non sai farti.

*****

FAME

Come un guanto
solitudine feroce
traduce di te il vuoto
al posto della voce

la luce del pomeriggio
gli incanti dell’incudine del buio
hanno brillato gli occhi
nell’imbarazzo di un’audacia

forse che la mia attesa
fosse intanto far del tuo canto
un talismano, del tuo ascoltarmi
un vanto. Ma tanti venivano altri

intorno e tu dimenticavi
con fame di bambina, con la stessa
fretta in fretta barattavi
la mia distanza, tanta
con un contorno,
e la tua nuova pietanza.

*****

Daniela Favretti è nata a Ferrara nel 1962 sotto il segno del Capricorno, il film più visto al cinema quel giorno fu Il sorpasso di Dino Risi, Celentano cantava Nata per me, ma Daniela dimostrò fin da subito di essere nata per l’arte: illustratrice, poeta, pittrice, ha frequentato l’Accademia di Belle Arti e la Facoltà di Filosofia. Vive con Thea e Theo da oltre cinque anni.


giovedì 10 agosto 2023

Gianni Priano




IL PRIANESIMO IN QUANTO DISTINZIONE

Gianni Priano è come una temperatura percepita. Non è per come scrive, è per come arriva. Di lui so quel poco che ho potuto leggere e quel tanto che dicono i suoi occhi, te ne accorgi immediatamente che non ha frequentato luoghi comuni, sia chiaro, nulla di eclatante o di così detto speciale, Priano frequenta la normalità, quella vera, quella dove si confrontano  riflessione e consapevolezza. Scrivere è la parte di noi più vera che possiamo esprimere, come dipingere, come suonare. Non si possono affrontare queste tre discipline pensando di dover portare rispetto a qualcuno. Scrivere, dipingere, suonare, è un vibrare, aiuta a vivere meglio, questo è il messaggio che ho colto leggendo e ascoltando Gianni Priano, interprete del destino, conoscitore intrinseco del passato quando si annuncia a futuro. La poesia di Priano pare chiedere scusa di averti risvegliato, sebbene sia tu ad averla cercata, poiché il vero poeta non fa nulla per stanarti, spesso non si presenta neppure a se stesso, faticando a riconoscersi in ciò che gli altri apprendono da lui. Priano ci descrive un’umanità che non esiste più ma che in lui continua a vivere ogni giorno come fosse l’ultimo giorno, quello nel quale devi dire tutto senza lasciare nulla in sospeso e lo fa con la discrezione dei grandi, degli illuminati. Parafrasando Vitrac, il poeta genovese informa, l’ignaro, sul fallimento dello spirito moderno, ma Priano, a differenza dello scrittore francese, oltre a mantenere vivo un certo disappunto al riguardo del capitalismo, dimostra avere molta più cognizione di causa, creando l’effetto giusto in chi sa che l’uomo arriva sempre dopo la bestia, in chi sa che è l’uomo a ripararsi sotto a un albero e non si è mai visto un albero ripararsi sotto ad un uomo, a chi della poesia e della natura ne fa un manifesto. 



Gianni Priano è nato a Genova nel 1962, non so altro, lo immagino con paglia rollata di prima mattina e Campari, perché la sua lucidità è superiore. Pubblica libri da oltre trent’anni e va annoverato tra i facenti parte della “poesia dell’assurdo” per come descrive con garbo esemplare il catafascio dell’umanità. 



 (io amo i piccolissimi poeti)

Io amo i piccolissimi poeti .
gli idraulici che ascoltano nei tubi
parlare i morti e il carpentiere in ferro
rimasto appeso a un chiodo a penzolare
a centotrenta metri e vide il mondo
come volando  per un bel quarto d’ora
e poi si tirò su con le sue braccia
perché i soccorsi tardavano a venire. .
Mai scritto un rigo, non è del tutto vero
che è poeta chi scrive le poesie. .
Ma tra chi scrive, tolti i grandi morti
mi piacciono i poeti disarmati
scarsi di scuole e di letteratura
mi piace che chi scrive le poesie
lo faccia perché è la sua natura
l’annotazione, la verticalità 
lo sprofondare nella fogna buia
il risalire con un alleluia
scritto in faccia, prima, e poi su un foglio. .
Mi piace il poeta che alla fine
delle parole abbia solo voglia
di stare mani in tasca e naso all’ aria 
via dalla vanagloria letteraria.

*****

(sarò che cosa?)

Sarò che cosa? Un vecchio che vi scappa
un palloncino non di bel colore
come uno sputo in cielo, un professore
che non professa più ma è professato
dalla professione di malato.
Sarò alla fine- in pieno- realizzato 
con baci sulla punta delle dita
che immaginerò, con la partita
accesa sullo schermo mentre spengo
l’ultima luce in me che sono stato
un accensore del mio cuore andato
una buona volta a quel paese.
Non fatemi funzioni nelle chiese
neppure nella mia (che è la cristiana
a cui ho voluto bene, a modo mio)
ma salutate, sorridendo, Dio
col Padre Nostro detto da qualcuno
che lo sa dire. Salutate il mondo
con una strofa dell’ Internazionale
di Franco Fortini che vedrò
di sistemare dentro il comodino.
Non mi bruciate, non mi piace il fumo
di corpi umani, voglio ritornare
in pancia alla mia terra e verminare
comunemente, come a scivolare                                                                    

 con levità di soffione e piume                                                                     

barca di carta che se ne va nel fiume. 


*****

Il mare lo abbiamo guardato
e mescolato in ciotole
da pinzimonio. Io non ho
preso il largo, mai.
La vela era solo scena
e così il berretto
e le lezioni di cartografia.
Ma questo mare è un cane
bastardo che ringhia
(scuro come il catrame
verde come un'oliva)
e vuole annegare proprio

me, vecchio topo di riva.

*****

La parola dice poco. Se poi è una parola spessa, profonda dice ancora meno. Anche a uno come me che con le parole campa spesso prende la repulsione per questi segni scritti sui fogli, sugli schermi e nell’aria. Quelle di cui, poi, abusano i poeti e gli scrittori della domenica sono insostenibili. E insostenibili sono le mie parole superflue (tutte le mie parole sono superflue), le mie poesie ridicole e i miei racconti di cui non si sente il bisogno. I miei libri inutili. Non parlo solo per me ma anche per voi colleghi di penna, dita, lingua. Che quando va bene scrivete e bon, quando va male raccontate come lavorate sul linguaggio e fate le citazioni. E poi vi piacciono pure la barca a vela, l’alpinismo. E avete l’orto. Perché volete tutto, voi. Viaggiate. Siete informati. Avete un’opinione sui cumulonembi, su Giulio Regeni su Miles Davis e su Jennifer Lopez. E parlate. Ubriachi ai tavoli. Il venerdì sera. Godete con le parole. Ve le ficcate da tutte le parti. E nessuno che a testate vi spacchi i denti.
















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ENCICLOPEDIA DEL FAR NIENTE la crestomazia sbriciolata di un sé - Nota critica di FRANCA ALAIMO e quattro poesie controindicate.

  In genere le sezioni di un libro servono a sottolineare le diverse tappe tematiche del discorso. Ed, invece, in "Enciclopedia del far...