IL PRIANESIMO IN
QUANTO DISTINZIONE
Gianni Priano è
come una temperatura percepita. Non è per come scrive, è per come arriva. Di
lui so quel poco che ho potuto leggere e quel tanto che dicono i suoi occhi, te
ne accorgi immediatamente che non ha frequentato luoghi comuni, sia chiaro, nulla
di eclatante o di così detto speciale, Priano frequenta la normalità, quella
vera, quella dove si confrontano riflessione
e consapevolezza. Scrivere è la parte di noi più vera che possiamo esprimere,
come dipingere, come suonare. Non si possono affrontare queste tre discipline
pensando di dover portare rispetto a qualcuno. Scrivere, dipingere, suonare, è
un vibrare, aiuta a vivere meglio, questo è il messaggio che ho colto leggendo
e ascoltando Gianni Priano, interprete del destino, conoscitore intrinseco del
passato quando si annuncia a futuro. La poesia di Priano pare chiedere scusa di
averti risvegliato, sebbene sia tu ad averla cercata, poiché il vero poeta non
fa nulla per stanarti, spesso non si presenta neppure a se stesso, faticando a
riconoscersi in ciò che gli altri apprendono da lui. Priano ci descrive un’umanità
che non esiste più ma che in lui continua a vivere ogni giorno come fosse
l’ultimo giorno, quello nel quale devi dire tutto senza lasciare nulla in
sospeso e lo fa con la discrezione dei grandi, degli illuminati. Parafrasando
Vitrac, il poeta genovese informa, l’ignaro, sul fallimento dello spirito
moderno, ma Priano, a differenza dello scrittore francese, oltre a mantenere
vivo un certo disappunto al riguardo del capitalismo, dimostra avere molta più
cognizione di causa, creando l’effetto giusto in chi sa che l’uomo arriva
sempre dopo la bestia, in chi sa che è l’uomo a ripararsi sotto a un albero e
non si è mai visto un albero ripararsi sotto ad un uomo, a chi della poesia e
della natura ne fa un manifesto.
Gianni Priano è
nato a Genova nel 1962, non so altro, lo immagino con paglia rollata di prima mattina e Campari, perché la sua
lucidità è superiore. Pubblica libri da oltre trent’anni e va annoverato tra i
facenti parte della “poesia dell’assurdo” per come descrive con garbo esemplare
il catafascio dell’umanità.
(io amo i piccolissimi poeti)
Io amo i piccolissimi poeti .
gli idraulici che ascoltano nei tubi
parlare i morti e il carpentiere in ferro
rimasto appeso a un chiodo a penzolare
a centotrenta metri e vide il mondo
come volando per un bel quarto d’ora
e poi si tirò su con le sue braccia
perché i soccorsi tardavano a venire. .
Mai scritto un rigo, non è del tutto vero
che è poeta chi scrive le poesie. .
Ma tra chi scrive, tolti i grandi morti
mi piacciono i poeti disarmati
scarsi di scuole e di letteratura
mi piace che chi scrive le poesie
lo faccia perché è la sua natura
l’annotazione, la verticalità
lo sprofondare nella fogna buia
il risalire con un alleluia
scritto in faccia, prima, e poi su un foglio. .
Mi piace il poeta che alla fine
delle parole abbia solo voglia
di stare mani in tasca e naso all’ aria
via dalla vanagloria letteraria.
*****
(sarò che cosa?)
Sarò che cosa? Un vecchio che vi scappa
un palloncino non di bel colore
come uno sputo in cielo, un professore
che non professa più ma è professato
dalla professione di malato.
Sarò alla fine- in pieno- realizzato
con baci sulla punta delle dita
che immaginerò, con la partita
accesa sullo schermo mentre spengo
l’ultima luce in me che sono stato
un accensore del mio cuore andato
una buona volta a quel paese.
Non fatemi funzioni nelle chiese
neppure nella mia (che è la cristiana
a cui ho voluto bene, a modo mio)
ma salutate, sorridendo, Dio
col Padre Nostro detto da qualcuno
che lo sa dire. Salutate il mondo
con una strofa dell’ Internazionale
di Franco Fortini che vedrò
di sistemare dentro il comodino.
Non mi bruciate, non mi piace il fumo
di corpi umani, voglio ritornare
in pancia alla mia terra e verminare
comunemente, come a scivolare
con levità di soffione e piume
barca di carta che se ne va nel fiume.
*****
Il mare lo abbiamo guardato
e mescolato in ciotole
da pinzimonio. Io non ho
preso il largo, mai.
La vela era solo scena
e le lezioni di cartografia.
Ma questo mare è un cane
bastardo che ringhia
(scuro come il catrame
verde come un'oliva)
e vuole annegare proprio
me, vecchio topo di riva.
*****
La parola dice
poco. Se poi è una parola spessa, profonda dice ancora meno. Anche a uno come
me che con le parole campa spesso prende la repulsione per questi segni scritti
sui fogli, sugli schermi e nell’aria. Quelle di cui, poi, abusano i poeti e gli
scrittori della domenica sono insostenibili. E insostenibili sono le mie parole
superflue (tutte le mie parole sono superflue), le mie poesie ridicole e i miei
racconti di cui non si sente il bisogno. I miei libri inutili. Non parlo solo
per me ma anche per voi colleghi di penna, dita, lingua. Che quando va bene
scrivete e bon, quando va male raccontate come lavorate sul linguaggio e fate
le citazioni. E poi vi piacciono pure la barca a vela, l’alpinismo. E avete
l’orto. Perché volete tutto, voi. Viaggiate. Siete informati. Avete un’opinione
sui cumulonembi, su Giulio Regeni su Miles Davis e su Jennifer Lopez. E
parlate. Ubriachi ai tavoli. Il venerdì sera. Godete con le parole. Ve le
ficcate da tutte le parti. E nessuno che a testate vi spacchi i denti.
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