giovedì 17 agosto 2023

Daniela Favretti

 IL GENIO MULTIFORME DI DANIELA FAVRETTI

 




La poesia di Daniela Favretti è autocoscienza, confermata nella vita sospesa, se non addirittura soppressa, dei suoi collage. Ciò che sembra venire annullato viene invece convalidato, ciò che vive dentro di lei sta al di fuori di lei, ciò che la mortifica è ciò che la motiva, la dinamica della sua poesia rimane misteriosa anche a se stessa, Daniela a volte si presenta infradiciata sebbene non sia caduta una sola goccia d’acqua, la sua esistenza immaginata è la sua esistenza. Il suo rivelarsi al mondo è un rivelarsi a se stessa: sarebbe riduttivo parlare della Favretti come si parla di un poeta imbevuto di solo inchiostro, Daniela è artista a tuttotondo, un continuo muoversi tra gli spazi, una incessante produzione di attività artistica, c’è la sensazione che sia Daniela ad inseguire il tempo e non viceversa: questa non è una osservazione da poco, poiché, concentrandomi sulla poetica favrettiana, tutto scorre tra le sue dita come se stesse per generare, ad ogni verso, la mancanza del lato umano, esibita nella sua versione intuitiva, propria della femmina che pochi come lei sono in grado di tradurre. Daniela Favretti fa un uso, abuso della storia per contrastare l’aspetto materiale impossessatosi dei suoi affetti più cari, come una sorta di Fenice moderna ricuce una ad una le parole che l’hanno uccisa e da lì riparte dimostrando al lettore di che pasta sia fatta la poesia quando a condurla vi sia un caposaldo del dolore subito. Se nel Medioevo un cittadino era costretto ad unirsi ai suoi simili per difendere la nobiltà della campagna dalla borghesia emergente, Daniela Favretti unisce, poesia, illustrazione, collage per proteggere ciò che ha, insegnandolo, di più caro: l’amor proprio.

*****

Esplicito e così comune
questo sabato che può
essere tacito dominio
di tasselli in sereno
disincastro di esperte
solitudini miniate in un guscio
di noce. (Nascere è atroce)

Tu dillo il mio nulla
latra come un cane
dubita e strofina
la rete che ti espone
le pudenda e altro
taci la sete fino
come sale trafigge
la soglia tra acqua
e sabbia e cupola
conchiglia col suo mezzo
mondo di orgoglio
che per meraviglia cela e fa
la Perla

*****

Poco prima dell'arrivo
del mio vuoto
la tua mano ha salutato
me che partivo
ma che restavo sulle tue scapole
a chiedere all’aria spostata
quante fossero le traversine
da una città all’altra
quante le finestre illuminate
di tutte le stanze da lì
a Bologna.Vermiglie
le mie scarpe, la falcata
sorvegliare con costanza
dimostrare di sapere
fare senza.

*****

LE ROTTE PAROLE

Fa un giorno
le parole ti siano rotte
per il sole
che’ non riesci
che’ duole piano
chi vuole darti
l’ amore che non sai farti.

*****

FAME

Come un guanto
solitudine feroce
traduce di te il vuoto
al posto della voce

la luce del pomeriggio
gli incanti dell’incudine del buio
hanno brillato gli occhi
nell’imbarazzo di un’audacia

forse che la mia attesa
fosse intanto far del tuo canto
un talismano, del tuo ascoltarmi
un vanto. Ma tanti venivano altri

intorno e tu dimenticavi
con fame di bambina, con la stessa
fretta in fretta barattavi
la mia distanza, tanta
con un contorno,
e la tua nuova pietanza.

*****

Daniela Favretti è nata a Ferrara nel 1962 sotto il segno del Capricorno, il film più visto al cinema quel giorno fu Il sorpasso di Dino Risi, Celentano cantava Nata per me, ma Daniela dimostrò fin da subito di essere nata per l’arte: illustratrice, poeta, pittrice, ha frequentato l’Accademia di Belle Arti e la Facoltà di Filosofia. Vive con Thea e Theo da oltre cinque anni.


giovedì 10 agosto 2023

Gianni Priano




IL PRIANESIMO IN QUANTO DISTINZIONE

Gianni Priano è come una temperatura percepita. Non è per come scrive, è per come arriva. Di lui so quel poco che ho potuto leggere e quel tanto che dicono i suoi occhi, te ne accorgi immediatamente che non ha frequentato luoghi comuni, sia chiaro, nulla di eclatante o di così detto speciale, Priano frequenta la normalità, quella vera, quella dove si confrontano  riflessione e consapevolezza. Scrivere è la parte di noi più vera che possiamo esprimere, come dipingere, come suonare. Non si possono affrontare queste tre discipline pensando di dover portare rispetto a qualcuno. Scrivere, dipingere, suonare, è un vibrare, aiuta a vivere meglio, questo è il messaggio che ho colto leggendo e ascoltando Gianni Priano, interprete del destino, conoscitore intrinseco del passato quando si annuncia a futuro. La poesia di Priano pare chiedere scusa di averti risvegliato, sebbene sia tu ad averla cercata, poiché il vero poeta non fa nulla per stanarti, spesso non si presenta neppure a se stesso, faticando a riconoscersi in ciò che gli altri apprendono da lui. Priano ci descrive un’umanità che non esiste più ma che in lui continua a vivere ogni giorno come fosse l’ultimo giorno, quello nel quale devi dire tutto senza lasciare nulla in sospeso e lo fa con la discrezione dei grandi, degli illuminati. Parafrasando Vitrac, il poeta genovese informa, l’ignaro, sul fallimento dello spirito moderno, ma Priano, a differenza dello scrittore francese, oltre a mantenere vivo un certo disappunto al riguardo del capitalismo, dimostra avere molta più cognizione di causa, creando l’effetto giusto in chi sa che l’uomo arriva sempre dopo la bestia, in chi sa che è l’uomo a ripararsi sotto a un albero e non si è mai visto un albero ripararsi sotto ad un uomo, a chi della poesia e della natura ne fa un manifesto. 



Gianni Priano è nato a Genova nel 1962, non so altro, lo immagino con paglia rollata di prima mattina e Campari, perché la sua lucidità è superiore. Pubblica libri da oltre trent’anni e va annoverato tra i facenti parte della “poesia dell’assurdo” per come descrive con garbo esemplare il catafascio dell’umanità. 



 (io amo i piccolissimi poeti)

Io amo i piccolissimi poeti .
gli idraulici che ascoltano nei tubi
parlare i morti e il carpentiere in ferro
rimasto appeso a un chiodo a penzolare
a centotrenta metri e vide il mondo
come volando  per un bel quarto d’ora
e poi si tirò su con le sue braccia
perché i soccorsi tardavano a venire. .
Mai scritto un rigo, non è del tutto vero
che è poeta chi scrive le poesie. .
Ma tra chi scrive, tolti i grandi morti
mi piacciono i poeti disarmati
scarsi di scuole e di letteratura
mi piace che chi scrive le poesie
lo faccia perché è la sua natura
l’annotazione, la verticalità 
lo sprofondare nella fogna buia
il risalire con un alleluia
scritto in faccia, prima, e poi su un foglio. .
Mi piace il poeta che alla fine
delle parole abbia solo voglia
di stare mani in tasca e naso all’ aria 
via dalla vanagloria letteraria.

*****

(sarò che cosa?)

Sarò che cosa? Un vecchio che vi scappa
un palloncino non di bel colore
come uno sputo in cielo, un professore
che non professa più ma è professato
dalla professione di malato.
Sarò alla fine- in pieno- realizzato 
con baci sulla punta delle dita
che immaginerò, con la partita
accesa sullo schermo mentre spengo
l’ultima luce in me che sono stato
un accensore del mio cuore andato
una buona volta a quel paese.
Non fatemi funzioni nelle chiese
neppure nella mia (che è la cristiana
a cui ho voluto bene, a modo mio)
ma salutate, sorridendo, Dio
col Padre Nostro detto da qualcuno
che lo sa dire. Salutate il mondo
con una strofa dell’ Internazionale
di Franco Fortini che vedrò
di sistemare dentro il comodino.
Non mi bruciate, non mi piace il fumo
di corpi umani, voglio ritornare
in pancia alla mia terra e verminare
comunemente, come a scivolare                                                                    

 con levità di soffione e piume                                                                     

barca di carta che se ne va nel fiume. 


*****

Il mare lo abbiamo guardato
e mescolato in ciotole
da pinzimonio. Io non ho
preso il largo, mai.
La vela era solo scena
e così il berretto
e le lezioni di cartografia.
Ma questo mare è un cane
bastardo che ringhia
(scuro come il catrame
verde come un'oliva)
e vuole annegare proprio

me, vecchio topo di riva.

*****

La parola dice poco. Se poi è una parola spessa, profonda dice ancora meno. Anche a uno come me che con le parole campa spesso prende la repulsione per questi segni scritti sui fogli, sugli schermi e nell’aria. Quelle di cui, poi, abusano i poeti e gli scrittori della domenica sono insostenibili. E insostenibili sono le mie parole superflue (tutte le mie parole sono superflue), le mie poesie ridicole e i miei racconti di cui non si sente il bisogno. I miei libri inutili. Non parlo solo per me ma anche per voi colleghi di penna, dita, lingua. Che quando va bene scrivete e bon, quando va male raccontate come lavorate sul linguaggio e fate le citazioni. E poi vi piacciono pure la barca a vela, l’alpinismo. E avete l’orto. Perché volete tutto, voi. Viaggiate. Siete informati. Avete un’opinione sui cumulonembi, su Giulio Regeni su Miles Davis e su Jennifer Lopez. E parlate. Ubriachi ai tavoli. Il venerdì sera. Godete con le parole. Ve le ficcate da tutte le parti. E nessuno che a testate vi spacchi i denti.
















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martedì 25 luglio 2023

Lara Pagani



IL ROMITAGGIO ELEGIACO DI LARA PAGANI

La poesia di Lara Pagani costruisce demolendo: è come un mare che tutto sopporta e tutto riporta a riva, mare capace di cullare o di travolgere senza lasciare scampo. Poesia capace di grandi slanci, pronti a commuovere il lettore, ma poi subito finisce la gioia e si rimane come barche prive di mare alcuno. Dov’è finito il mare? Dov’è finita Lara? Lara, come un mare, non è mai finita, lo sa bene chi ha imparato a leggerla e ad apprezzarla: perché la Pagani lascia comunque un’impressione positiva in quel suo muoversi tra rovine di pregio. Espone una collezione di magnificenti disastri, dove pare sentirsi a suo agio, tra distici amputati ed elegiache distrazioni non casuali, poiché la forma – in poesia – è il poeta: e l’unica regola vigente, in poesia, dovrebbe essere la sregolatezza di chi scrive versi di dolore superato, a volte incastrato o addirittura, come nel suo caso, incastonato. Le sue poesie sono trattati di teratologia dell’anima, la ricerca dell'essenziale mediante una semplicità di suoni, e distorsioni, disarmanti. Riesce a comunicare l'unicità del suo linguaggio tramite parole che tutti noi usiamo abitualmente, dipinge la miseria della disperazione umana, combattuta tra comodità e morale. Lara non va ingabbiata in luoghi comuni tipo la metrica, la punteggiatura, l'ovvietà del voler ricercare per ritrovarsi, lei non cerca nessuno, e tantomeno ricerca, si basta ma non lo sa, o forse sì, quello che non sa è quello che non vuole, lei sa come fare a farsi trovare, mostrando il suo lato emozionale e con struggente sfrontatezza ti sbatte in faccia la realtà. Sono i suoi tormenti, le sue agitazioni, a creare poesia, a convertire il disastro in capolavoro. Ad una prima lettura si potrebbe anche affermare che le poesie della Pagani abbiano i crismi di una rappresentazione hegeliana del suo mondo, ma Lara, a differenza di Hegel non dà nulla per scontato, nemmeno l’amore per quei riccioli biondi carne della sua carne. Si percepisce, dunque, la magia, in quel non farsi sottomettere dal proprio romitaggio, in quell'alone di dandismo con il quale tramuta le pozioni di inchiostro in immagini.

*****

Ho stretto amicizia con una pianta
dell’androne, accanto al portaombrelli.
Le racconto dei girasoli — di come 
è grande la mia gioia quando saltano
agli occhi da un cavalcavia: chissà 
se può immaginare i loro dolori. 
Vedo stralci di Milano dalle vetrate 
sbeccate del portone, uomini e donne 
con le buste della spesa, bambine
svelte sui gradini. Qualcuno c’è
che mi saluta senza più sorpresa.  

Da qualche mese vivo arresa —
accampata finché non torni  
in fondo alla rampa delle tue scale. 

*****

*rispondere*
Vivere non è un telefono che stacchi
con tutte le persone che ti cercano ancora dentro — ne senti le voci lontane
eppure riposi tale a una neonata,
sola come i felici. Vivere non finisce
così. Finisce che un giorno rispondi
degli atti compiuti col corpo fino in fondo.

*****

Questo amo di te: il tuo vuoto
di parole, il lapsus che ti racconta 
da un romanzo, la carezza invisibile 
a occhio nudo, la nuda mezza mela 
rimasta sul letto per errore. 


*****

Anche tu confermi che sono
un’imbranata. Nella vita di tutti 
i giorni non conto più le porte, gli spigoli
che prendo per distrazione, i caffè 
rovesciati al tavolino, il grado di tensione 
che mi porta a sbagliare le parole. 
Eppure a volte dici — mamma 
tu indovini il futuro, conosci tutti 
i miei segreti prima che li riveli, le canzoni
inglesi a memoria, non è che forse 
sei magica? Io ti stringo nello sguardo
per gli anni cupi, rispondo di sì. 

*****

Lara Pagani nasce nel 1986 vicino al mare, da una probabile staffetta con Simone de Beauvoir. È l'anno in cui Enrico Ruggeri pubblica l’album Enrico VIII (include il brano "Non finirà") l’anno del maxiprocesso alla mafia, di Cernobyl, della “mucca pazza”, ma Lara se ne frega, nasce e forse comincia a scrivere ancora prima di imparare a parlare, di sicuro sapeva già leggere. Laureata in lingue e letterature straniere, traduce testi dal tedesco, dal francese, dall’inglese. Forse fuma, ma non le Gauloises blu, suo colore preferito in tutte le sfumature antropologiche immaginabili.

 


venerdì 14 luglio 2023

Roberto Cotroneo

 






UNA VIA DI USCITA DAL VACUO ESISTE

ROBERTO COTRONEO - In quest'alba dove ricomincia il tempo. (Metamorfosi Editore /2016)

Leggere Roberto Cotroneo è stata una piacevole e prosperosa sorpresa, è l'ospite ideale che ogni mente non assopita vorrebbe avere, Cotroneo scrive poesia attraverso una gentilezza implacabile, post moderna, più che un libricino di poesie questo è un piccolo saggio documentaristico, volto a risvegliare l'umanità, quell'umanità smarrita oramai da generazioni. L'autore, attraverso i suoi versi, mette in risalto l'equilibrio, completamente spostato, venutosi a creare nel rapporto che intercorre tra la madre natura e l'uomo, smontando pezzo per pezzo ogni abusiva certezza impossessatasi del nostro tempo, dei nostri sentimenti, della nostra cultura. La lettura di questo breve poema mi ha riportato alla visione mentale del film Un altro mondo. Sono parole garbate e piene di speranza i versi di Roberto Cotroneo, il quale ci ricorda che vi è sempre una nuova alba a donare la possibilità di poterci riscattare, risvegliare.

"Abbiamo comprato il sacro a poco prezzo
al mercato del tempo
tra un vecchio vinile
e una macchina per scrivere con i tasti inceppati
come le nostre armi scariche
come le nostre lusinghe
da affilare con cura."


giovedì 13 luglio 2023

Emilia Filocamo

 


EMILIA FILOCAMO, IL DONO DI APOLLO

Emilia Filocamo nasce a Pompei il 13 Febbraio 1977 sotto il segno dell’Acquario, ma è un Acquario atipico, impreziosito di corallo. Laureata in lettere classiche, Il suo primo romanzo, Wolfskin, un fantasy – thriller, è stato pubblicato negli Usa per la casa editrice Agorà (2009). Si può tranquillamente definire, il suo stile di scrittura, in poesia, filocamiano: lievemente plathiano, vagamente pozziano, ma semplicemente unico. Di sé dice: il mio cuore è il posto più lontano in cui sono stata. Le sue poesie sono una narrazione epistolare a senso unico, un continuo dialogo con se stessa, una eterna resa dei conti tra lei e il proprio io. Poesia mediterranea e, come il mare, smisurata: così la si potrebbe fissare, monologhi che serbano un profumo di antico, di puro ed erotico al tempo stesso, a tratti lambisce la mitologia greca, narrando l'amore ma senza mai cadere nell'anodino, poi si lancia senza freni e mentre pare essere riuscita a dominare quel vento che arricchisce la sua terra, eccola ripiombare nell'oblio di un mare in burrasca, sorgente interiore del suo dirsi.

Emilia Filocamo non ha al suo attivo pubblicazioni poetiche e questa pare a 2023 compiuto, una scelta condivisibile, la quale conferisce ancora più valore al suo essere poeta.


*****

Cento più due

Del mio amore posso subito dire il nome:
è un respiro, un frullo di ali, la cena che raffredda a gennaio, una pausa di ciglia, lo schiaffo già incolpato di vento. Del mio amore conosco due giorni, una paura morta sul letto dove è caduto l'abbraccio. Io so che dieci è la nostra bambina tirata fuori una sera alle diciotto dal cielo a dire i miei ricci e la bocca di pianura del padre.

*****

Il terzo giorno non sorgerò, inutile aspettare la festa, prenotare sul ciglio della strada un becco di panorama. Sono un Lazzaro disobbediente, un infermo gaudente nella posa che lo fa tegola di un nuovo dolore, un'insana ostentazione del malanno annunciato. Il terzo giorno sarò un abracadabra pronunciato da un balbuziente, un podio che aspetta lo zoppo. Non fate ressa e non tenete i confetti accecati nel tulle spinoso, piuttosto mettete una guaina al sorriso, chiudetelo accortamente in un momento qualunque. Gesticolate poco e di nascosto: guai dovessi sorprendervi a benedire quel pasto. Mi conoscete, non so dire bene il mio male, piuttosto lo mimo e sembro una mantide prima del morso. Mi conoscete, o forse no: ho una novità incartata come il feto lo è dalla pancia. Ha un cuore che pare avorio, ma vorrei avesse zanne per mangiare alla vita il bolo rubato. Ha una bocca che fa dire alle mani cose che mai saprò più belle. Il terzo giorno non sorgerò ma portate al suo cospetto la mia pagina come sudario: che sappia, grazie a lui, quante volte non sono morta.

*****

MUTA
Se odio le parole? Certo che le odio:
le vedo venire fuori come formiche da un buco affamato.
So che mi daranno il tuo respiro, la curva delle tue paure,
anche la forma maliarda del cuore, ma non sapranno
afferrare la tua pelle, spose incoscienti che rubano
il nero alle vedove. Vorrei soltanto ucciderle, portarle
alla pagina come ad un promontorio, sgozzarle, finirle,
assieparle senza concedergli desideri. E non voglio angeli
a fermare la mia mano quando farà mattanza di se stessa
e della sua folle progenie di versi che mi danno
un solo cane di speranza e pascoli prolifici di dolore.

*****

Cento quarantatre

La paura è venuta a farmi visita: a quest'ora la strada è sgombra.
Le ho preparato una sedia, una pausa di legno che non usavo più,
ho spalancato la bocca solo una volta per provare il saluto.
La paura vuole rispetto. Mi sono vestita con cura, noi siamo il
lume e la candela, lei è seria, io pure, lei vince, io no.
Ci sono tante forme fra i rami stasera: alcune ricordano
il mio banco di scuola, altre sono lavagne, due nuvole
sono state bocciate. Alla paura ho detto di te e di come
mi ami, lei ha festeggiato una smorfia e bigiato la gioia,
mi ha detto che ti spingerà più in là del mio cuore,
perchè tu hai ali, io ganci. Allora ho urlato e le
ho rotto una gamba con i denti e le ho rotto la rotta
con cui mi puntava. Voglio imparare il tuo volo e
anche se la vita ha licenziato le mie piume, so che
da un angolo della tua mano assaggerò il cielo.

*****

A NOSTRA FIGLIA

Lei sarà come noi, con un bargiglio
di tristezza sempre pronto ad esploderle
negli occhi, come dovesse scusarsi
di essere azzurro. Lei sarà la tua
pelle e nebbia, la mia carne
ed onde, sarà acciaio e piuma.
Ma non avrà punte nel nome
e chiamarla sarà sempre una carezza.


mercoledì 12 luglio 2023

Elisabetta Sancino

 



COLLEZIONE PRIVATA - VI PORTO ALL'INTERNO DEL MUSEO CARTACEO DI ELISABETTA SANCINO (PUNTOACAPO EDITRICE)

Lo confesso, ho un debole per la Sancino poeta: di suo ho letto tutto quello che c'era da leggere, commenti sui social compresi, non poteva quindi mancare alla mia collezione privata questa silloge estrapolata dal suo genio e dalla sua conoscenza. Elisabetta adopera le parole come, penso, adopera il suo corpo per vivere: ciò che pensa è ciò che vive, ciò che vive è il suo sogno che le dà vita, tanto che il dipinto che ne scaturisce da questo gioco di parole è un bene prezioso per l'anima. Collezione privata sono sei libri in uno, di ciascun libro ogni poesia è composta da versi patriarcali, varie generazioni di fulgori incastonati tra loro ma liberi di farti viaggiare in una dimensione unica e irripetibile, fatta di realtà e immaginazione a specchiarsi vicendevolmente, quanto l'oggetto e il concetto. La Sancino entra nella mente, nel cuore, nella smobilitazione sregolata degli artisti che accompagnano da sempre il suo giornaliero, il suo onirico. Detto così pare facile e allo stesso tempo caotico, il mio dire, ma attenzione! La lettura di questo libro può frastornare, può farti sentire, una volta terminato il trip, diverso, immortale. Vero, gli immortali sono oramai tutti morti, rimangono giusto quelli che hanno avuto l'intuzione di approcciarsi alla scrittura della Sancino, entrando in contatto con l'influsso rilasciato dai versi dell'artista milanese. Io credo di essere stato, in passato, un allievo della Sancino, anche se le mie rappresentazioni figurate sono molto diverse dalle sue, ma il suo occhio che tutto vede e tutto ascolta, deve essersi benevolmente posato sul mio inchiostro in qualche vita precedente. La sua concreta forma di scrittura ricuce la distanza tra le varie epoche rappresentate dai dipinti facenti parte della silloge, non pare esserci divisione tra le diverse forme di pittura esposte nella Sancinoteca. Concludo questo mio pensiero, Elisabetta Sancino ha fondato un museo in grado di creare un forte legame tra poeta e "visitatore". Lasciatevi abbandonare e venite ad ammirare la COLLEZIONE PRIVATA di Elisabetta Sancino.



martedì 11 luglio 2023

Carmine Mangone

CARMINE MANGONE - NOSTRA POESIA DEI LUPI  (NAUTILUS 2022)



IL DISARMATO INCANTO DEL MANGONE 

 "Sono pronto. A fare cosa?" Carmine Mangone festeggia il mondo ogni giorno. Non sono io a dirlo, è lui a rispondere senza rime alla mancanza universale della materia, mancanza in quanto assenza dell'essenza. Carmine Mangone supera se stesso donando se stesso in questa breve, accattivante, risma autobiografica, perdonate le ripetizioni da me fatte poiché qualsiasi tentativo di approccio con il messaggio, dato da questo stato d'animo di natura, è stato vano e non ho avuto altro modo di declamare l'assoluto, se non reiterando la mia ammirazione. NOSTRA POESIA DEI LUPI rappresenta dunque l'assoluto, non ha bisogno di dimostrare nulla a chi legge, non usa condizionare lo stolto facendolo sentire astuto, si insinua tra i dubbi con la delicatezza che soltanto un bel culo sa avere. Carmine si confessa, pare non essere più incastrato tra fuoco e lacrime, sembra più maturo, più riflessivo, affronta l'argomento amore senza sfidarlo, lui e lui a confronto, un incontro speciale, a mente sveglia, con l'onirico, con un destino che (dice lui) non lo sopporta: mi sovviene, a tratti, l'aggrovigliante svolgimento di "C'era una volta in America", decapitare quel fantasma di carne che ci portiamo appresso. < Muore anche la morte/ nella violenza del seme.> E dal vangelo (questo libricino ha per me la stessa valenza cristiana) secondo Carmine, traspare la morte del senso di colpa, l'annientamento del moralismo, la regolata avventatezza assiepata dietro l'imprescindibilità della poesia, quando davanti al prodigio della natura appare inutile, priva di un Dio pregato, altolocata. Carmine usa la parola per sopperire alla parola, ha compreso che l'idea di un sole basta già a riscaldare anche se si è in piena tormenta, la materia, per Carmine, esiste solamente in funzione della fusione tra due anime: da questa fusione prende corpo la natura, in grado di vivere senza la nostra mano e di sopravvivere con 'l'aiuto' di essa. Quanto siamo piccoli quando pensiamo di poter governare l'amore ( o l'altro attraverso di esso) e quanto siamo, altresì, immensi quando lasciamo andare la nostra paura. Abbracciare tutto il possibile, questo ci insegna il Mangone rincasando per la strada di sempre e che non è mai la stessa: accarezzarci fino alla fine del mondo. Se non è poesia questa, questo libro non si chiama in nessun altro modo.

ENCICLOPEDIA DEL FAR NIENTE la crestomazia sbriciolata di un sé - Nota critica di FRANCA ALAIMO e quattro poesie controindicate.

  In genere le sezioni di un libro servono a sottolineare le diverse tappe tematiche del discorso. Ed, invece, in "Enciclopedia del far...