giovedì 26 ottobre 2023

Patrizia Garofalo


 L'UNICA SUPERIORITÀ PRATICABILE È IL DUBBIO (il riff poetico di Patrizia Garofalo)

La poesia è nutrimento, così, come una buona pietanza si fa accompagnare da un buon vino, una buona poesia se accompagnata a buona musica migliora e ti migliora. Per l'esordio letterario di Patrizia Garofalo ho scelto un Brubeck d’annata e sono rimasto molto soddisfatto. La poesia della Garofalo è surrealismo dai piedi ben radicati sul reale, una cattività selvatica. “La complessità dello sguardo” è un titolo rilevante: racchiude una commistione tra paesaggio e prigionia. Da questa considerazione diventa fondamentale estrarne l’ora d’aria, punto indissolubile d’incontro tra mistero e ovvietà. La Garofalo sembra essere sempre dove non abita, un’isola mai nata, quasi destinata alla benevolenza delle maree, si definisce osservando il vento votato a mettere a nudo le trasparenze del mare. Confessa di avere intuito di come la maggior parte delle persone abbia smesso di vivere il reale, narra il suo sentirsi estranea attraverso l’inconsistenza e l’incapacità emotiva del prossimo al cospetto del risveglio. Trasparenze, fantasmi, da cosa si nasconde il poeta? L’uomo inerme che non si spaventa più nemmeno delle abominazioni dell’uomo, il mare come unico sconfinato limite, ma pur sempre fatto di acqua che scava come un dolore da narrare attraversando l’improbabilità del tempo tra le aurore sterminate. Poi ecco il sogno che riappare, a dire chi siamo o chi non siamo stati, o soltanto per aiutarci a conoscere la fine, quella fine che sappiamo bene dentro di noi, almeno la Garofalo l’ha intuita [… Il silenzio è una parola più lunga del dire…] ponendosi domande giuste, dubbi fuori dagli schemi. C’è, dentro ad ognuno di noi, un animale imprigionato, condannato a burocratica morte, la visione della poetessa cilentana potrebbe apparire come una arrendevole accettazione che il bello sia oramai nascosto da bambagie provenute da un altro tempo a ‘salvarla’ dalla ribellione degli occhi, perché questo tempo non è buono, è [un bagliore di cose inumate]. Ma Patrizia, armata di inchiostro, lotta, rimane sulla terra lasciando agli occhi la facoltà di un delirio proprio, incitando la natura a prendere il sopravvento, riflettendo il suo vecchio volto di ragazza perso ad ammirare la bellezza di una terra, che se fossi io -Dio- la eleggerei a paradiso “per il grembo triste di un’antica dea che qui smarrì la sua bellezza.” Ma l’improbabilità del tempo è inesorabile, macina ogni cosa, ogni dove, ogni pensiero… [… qui posso rivedermi com’ero, in un vecchio giardino che ora è quasi un cimitero.] Ognuno di noi, in fondo, proviene da quel luogo, lo si ricorda fin da bambini.

 *****

Patrizia Garofalo da Agropoli, segno del toro, in media una cinquantina di bagni in mare all’anno, intollerante all’uovo, sguardo di chi non fuma… ma mi sono sbagliato, mi ha poi detto che fuma. La complessità dello sguardo (L’argoLibro Editore 2019) è la sua prima silloge poetica pubblicata.

 

mercoledì 18 ottobre 2023

Daìta Martinez

 


L’ARTE DEL TRAMANDARE DI SUA ENTITÀ daìta martinez

La poesia di Daìta Martinez non appartiene a nulla, non è paragonabile, non è misurabile, semplicemente è. Detto questo, dopo il punto dovrei andarmene via da tutto e tutti, perché leggere Daìta è una di quelle esperienze che cambiano la visione della vita, fa bene e fa male, ti lascia felice e triste. La poesia della Martinez la si può concentrare in una semplice parola: immanenza.

 

Lascio lo spazio perché davvero mi sembra che ogni parola da me scritta non aiuti a comprenderla appieno, penso di non sapere neppure pronunciare bene il suo nome, neanche ci provo per timore di venire travolto dalla sua fonematica stentorea. Nella vita niente è perfetto e tutto è perfettibile, la poesia di Daìta no: è gigantea. Adopero questo epiteto non a caso, parafrasandola direi che dentro la sua poesia la mia fragilità ha trovato un alloggio.  Daìta trasmette l’eleganza di chi non perde mai placidità, nemmeno dinanzi a “l’abbaglio di una incuria”, ed è una flemma caleidoscopica quel liberare la poesia dagli schemi convenzionali come fosse la sua vocazione, liberare e dare: “liberDare”. Da una silloge come “. la bottega di via alloro .” nasceranno altre cento poesie, questa è la meraviglia della poesia, questa è Daìta: un tramandare. Artista capace di trasformare il verticale in orizzontale, creando quel zig zag interiore che allarga le prospettive, l’orizzonte. Leggendo Daìta sono arrivato alla personale conclusione che un altro mondo poetico sia possibile, meno incline alle regole, più accessoriato di sentimenti, un breve infinito […s’innamora sotto i portici il cardellino] assolutamente tutto minuscolo, perché nessuno è diverso da un altro se non nelle piccole cose, quelle uguali per tutti. La Martinez non ha una poesia in particolare che colpisca, quella che, tradotta in musica,  si chiamerebbe hit, ma è l’insieme del suo percorso la sua forza, la sua inarrivabilità. Un qualsiasi poeta, dopo aver letto nella sua interezza Daìta, può continuare a sentirsi tale soltanto al di fuori di sé.  Nella poetica della Martinez si coglie la natura, con il suo ritmo, la geometria, con le sue forme, la materia, con i suoi spazi, l’arte, con la sua mimica cartacea. “Possiede una soavità interiore che quando la mostra è forse così che è nata la musica.”

*****

(giorno di seta)

ho sdraiato l'ombra
poi
il seno ho allungato
nel gorgo di un istante.

(giorno di seta)

odorosa empietà
l'abbaglio di una incuria.

filato d'arancio
disgiunto
in trama estrema
sul dosso del tramonto.

da: (dietro l'una) LietoColle-2011

*****

. bambina .

squarcia persiana
indivisa locuzione
la dottrina dei seni

sbucciata prospettiva
oscilla ceramica dei tetti
e ricado
marina consistenza
palpebra traviata velatura

slaccia ruscello
didascalico adito
di grazia colmo sotto lo scaffale

addormentato verso d'usignolo
il volo scorrevole della porta
suo stonato spegnersi

. bambina .

da: . la bottega di via alloro . LietColle-2013


*****

è bellissimo il silenzio indaffarato delle vene
il peso del nulla chiaramente si annulla sulla
bocca l'ombra dei gusci d'uovo e soltanto le
finestre appena gonfie a mezz'aria belano ai
fiori innamorati tra le ciglia spente della folla
nell'unico intervallo del quadro un uomo e la
donna si scambiano il tempo in un abbraccio

da: il rumore del latte   Spazio Cultura Edizioni - 2019

*****

il prato di latta ha margherite colorate nei
sogni dei bambini attesi al ballatoio stesi
su una minuscola foglia oltrepassata nella
sera giù a piccoli gorghi di silenzio trema
il tempo discosto in un fragilissimo inizio
sul grembo affamato di altra luna cadente
sul viso dove siedono i sogni dei bambini
dopo la questua la preghiera e quel finire
a mano il ricordo più lento odoroso vento
con occhi della piccola grazia ribelle alle
stelle pi n'anticchia di beni attummuliatu
rina rina dintra 'a vucca ca scunta e nenti
cunta di lu scanturisorto al venuto bacio i
lividi rosa della rosa d'argento nascosta e
riposta sul taschino dell'inverno prima del
mare prima di andare ai sogni dei bambini

da: liturgia dell'acqua ANTEREM-2021

*****

Daìta Martinez è nata un mercoledì di maggio, a Palermo, per proseguire -proficuamente-  il percorso lasciato in sospeso da Alfonso Reyes e Bianca Laura Saibante. Prende forma dalla moka poetica nel 2011, anno della sua prima pubblicazione (dietro l’una).  E sempre in quell’anno la ricordo come ministro degli esteri del governo tecnico Taravella. Poetessa di mare, o per meglio scrivere, pescatrice di parole, decora il creato con limbelli di dialetto siciliano, così da contraddistinguere il proprio linguaggio poetico. Esperta rollatrice, da giardino e da spiaggia, abita il silenzio del mare. Daìta ha all’attivo sette pubblicazioni, più una plaquette di recentissima uscita. Imminente una sua nuova esperienza poetica, dal titolo a me ancora sconosciuto (perché non mi sono azzardato a chiedere).

daìta martinez scout:

(dietro l'una) 2011-LietoColle
la bottega di via alloro 2013-LietoColle
la finestra dei mirtilli (con Fernando Lena) 2019-Salarchi
il rumore del latte 2019-Spazio Cultura Edizioni
'a varca di zagara 2019-MACABOR
nutrica 2019-LietoColle
liturgia dell'acqua 2021-ANTEREM
miros de mure 2023-Editura Cosmopoli

lunedì 2 ottobre 2023

Cristina Simoncini


 L’EMANCIPAZIONE POETICA DI CRISTINA SIMONCINI

Soltanto i poeti eleganti sono in grado di creare immagini, entrando nel cuore della gente mediante una descrizione esaustiva di vicende, appartenenti alla ristretta cerchia dei propri affetti, senza cadere nella banalità del sentimento. Cristina Simoncini dona alle proprie poesie una sorte in quanto memoria, una poesia scritta da Cristina viene liberata dalla costrizione commemorativa nella quale spesso un ricordo va a recintarsi, essa assume nuova tendenza attraverso gli occhi del lettore, la sua genialità consiste nel rimanere fedele all’atto simbolico diaristico di una narrazione, riuscendo a rendere straordinario il semplice. Leggere la Simoncini lascia spesso senza parole: si crea, durante la lettura, l’atmosfera che riesce a dare in fotografia un campo lungo, cioè il riconoscere solo le cose ferme che sono, o paiono, senza vita. Provate a leggere la Simoncini ad alta voce, vi ascolteranno perfino gli animali, immobili come le esibizioni da campo lungo descritte prima, immobili ma vivi, stupiti pure loro. L’incanto non contempla la fretta. E qui, riprendo il discorso, dopo la lettura entra in scena il silenzio, si rimane senza parole: l’assoluto, in fondo, è un silenzio. Fermo, composto. Tutto ciò che si muove è destinato a scomparire, la Simoncini lo sa bene, dimostrandolo attraverso l’eleganza con la quale inchioda alla pagina il lettore.

*****

*****

C’è intorno una dolcezza di volto,
si esercita nella mimica d’amore
nello sproposito di bocche.
Tu in piedi a osservare
il lungo abbraccio,
a insidiarlo con piccole saette
nello sguardo.
La sigaretta si accascia
e il buio si piega un’altra volta,
le parole si spingono
nella confusione.

  *****

certe sere in cucina dominava su tutto
il rumore sfaccendato delle sedie,
un tintinnio di luce sui vetri ravvivava
il tempo sonnolento – la sciatteria di tazze nel lavello,
parlavi e qualcosa, come un lampo di grazia,
sollevava anni di polvere dalle spalle
pigre e supponenti di tua madre
(a guardarla di sfuggita la attraversava
un’ombra, la latenza di un sorriso)

  *****

Mia madre non è morta in una volta sola
non l’ha spenta un ultimo fatidico respiro
come succede al resto della gente
se n’è andata con calma cominciando dai piedi
che si son fatti duri e gelidi come nelle statue
interrompendo il transito dei passi
poi è toccato al marmo delle braccia
arreso in una croce sul torace
che a fatica sotto quel peso si sollevava
gli occhi impauriti sono rientrati
nell’abisso insondabile dell’interiore
l'ultimo è stato il naso scolorito
che sventolava a mezz’asta in segno di commiato
quel poco di lei che rimaneva
stava intanato nel muscolo cardiaco
diffondeva nell’aria piccole pulsazioni
un alfabeto Morse con cui esortava
le persone amate, Su, fate presto, salutate!

*****
Nei suoi occhi brillava
a giorni una luce inviolabile
c’è sempre un segreto negli altri
una maniera di mancare
la vedevo affacciarsi a una finestra
e con un tintinnio innocente di parole
scivolare fuori dal suo vero
allontanare il grido dalla bocca.


Cristina Simoncini porta luce sul pianeta terra in un giorno di marzo, stando al calendario gregoriano, ma circa un mese prima aveva già manifestato la propria presenza contribuendo a far abolire, dopo oltre quattro secoli, l’indice dei libri proibiti. Dal suo predecessore, uno stimato poeta e drammaturgo di etnia baschira, tale Muchametsa Burangulov, ha appreso lo spirito di osservazione. Ed è da questa commistione che prende corpo il suo naturale talento, atto a trasformare anche un ordinario scambio di vedute in poesia. Dai suoi fonemi si evince un amore sconfinato per la filosofia, la vera figura retorica “fantasma" di tutte le sue ispirazioni, sebbene vada sottolineato che spesso la figura letteraria del protagonista sia insidiata dall’indipendenza delle immagini trasmesse. Cristina ha smesso di fumare, sorride a tutti, mangia patatine e guarda film.

mercoledì 30 agosto 2023

Maura Baldini

 Maura Baldini LA SLEGATURA  (Il Convivio Editore) 2022



Sono stata quello che sarò. Maura Baldini dirompe Maura Baldini. Questo, di primo acchito, riassume il Baldini pensiero, una silloge metempirica, punto di incontro, tra dolore fisico e dolore trascendentale. “LA SLEGATURA”, opera prima della poetessa verbanese, pende immediatamente verso il conflitto: “Il violino ridotto all’assolo […] …i miracoli sono ibridi di ossa e vento. Viene spontaneo, al lettore, domandarsi fin dal primo verso, se riuscirà ad uscire indenne da questo percorso ad ostacoli lessicali. La Baldini esce dall’ombra, esce dal nome, esce ma non fugge, esce per affrontare “come un rabdomante senza dono…” per scoprire che il nome è un tempo che resta. In tutto questo assume rilievo la figura del cane, a ignorare il volto, al quale basta la voce per riconoscere e riconoscersi. Il mio modo di interpretare questa silloge è cambiato quasi ad ogni pagina, questo depone a favore di Maura, capace di ripetersi senza fartelo intendere, ma attenzione: la mia non vuole essere una critica negativa, assolutamente! Il dolore della Baldini è reale, non richiede rincrescimento, il coraggio si misura in stanze, martoriando tastiere e dita. Da qui mi accorgo del ripetersi di un dolore che non abbandona mai le pagine, un dolore camaleontico, quasi imprescindibile, fricativo fino alla slegatura. Aspetto, ora, l’evolversi di questo conflitto tra Baldini, Maura in certi momenti pare narrare la vita da fuori campo, come se si trovasse in un’altra dimensione, non sono riuscito a comprendere quale – limite mio probabilmente – e perciò dal momento che alcuni libri – e questo lo ritengo tale – conservano l’ossatura dell’anima costante, quasi fosse l’armatura, a tratti malandata, capace di salvaguardare l’anima dal disordine, dall’incalzante assedio della Maura che resta sola a chiudere gli occhi, a parola scomparsa nell’oro fuso: a me piace pensare che la dimensione di Maura sia una spiaggia di mare col vento che spazza via il lago, la vera tana che tiene imprigionata cotanta bellezza. 

 

Resti, come sempre,
ai margini
di una luce di scarto
masticata da un cetaceo.
Come un'ostia in effetti svanisco
sotto la lingua di chi mi prega ancora.
Le mie mani in bocca:
non so questuare il perdono.

giovedì 17 agosto 2023

Daniela Favretti

 IL GENIO MULTIFORME DI DANIELA FAVRETTI

 




La poesia di Daniela Favretti è autocoscienza, confermata nella vita sospesa, se non addirittura soppressa, dei suoi collage. Ciò che sembra venire annullato viene invece convalidato, ciò che vive dentro di lei sta al di fuori di lei, ciò che la mortifica è ciò che la motiva, la dinamica della sua poesia rimane misteriosa anche a se stessa, Daniela a volte si presenta infradiciata sebbene non sia caduta una sola goccia d’acqua, la sua esistenza immaginata è la sua esistenza. Il suo rivelarsi al mondo è un rivelarsi a se stessa: sarebbe riduttivo parlare della Favretti come si parla di un poeta imbevuto di solo inchiostro, Daniela è artista a tuttotondo, un continuo muoversi tra gli spazi, una incessante produzione di attività artistica, c’è la sensazione che sia Daniela ad inseguire il tempo e non viceversa: questa non è una osservazione da poco, poiché, concentrandomi sulla poetica favrettiana, tutto scorre tra le sue dita come se stesse per generare, ad ogni verso, la mancanza del lato umano, esibita nella sua versione intuitiva, propria della femmina che pochi come lei sono in grado di tradurre. Daniela Favretti fa un uso, abuso della storia per contrastare l’aspetto materiale impossessatosi dei suoi affetti più cari, come una sorta di Fenice moderna ricuce una ad una le parole che l’hanno uccisa e da lì riparte dimostrando al lettore di che pasta sia fatta la poesia quando a condurla vi sia un caposaldo del dolore subito. Se nel Medioevo un cittadino era costretto ad unirsi ai suoi simili per difendere la nobiltà della campagna dalla borghesia emergente, Daniela Favretti unisce, poesia, illustrazione, collage per proteggere ciò che ha, insegnandolo, di più caro: l’amor proprio.

*****

Esplicito e così comune
questo sabato che può
essere tacito dominio
di tasselli in sereno
disincastro di esperte
solitudini miniate in un guscio
di noce. (Nascere è atroce)

Tu dillo il mio nulla
latra come un cane
dubita e strofina
la rete che ti espone
le pudenda e altro
taci la sete fino
come sale trafigge
la soglia tra acqua
e sabbia e cupola
conchiglia col suo mezzo
mondo di orgoglio
che per meraviglia cela e fa
la Perla

*****

Poco prima dell'arrivo
del mio vuoto
la tua mano ha salutato
me che partivo
ma che restavo sulle tue scapole
a chiedere all’aria spostata
quante fossero le traversine
da una città all’altra
quante le finestre illuminate
di tutte le stanze da lì
a Bologna.Vermiglie
le mie scarpe, la falcata
sorvegliare con costanza
dimostrare di sapere
fare senza.

*****

LE ROTTE PAROLE

Fa un giorno
le parole ti siano rotte
per il sole
che’ non riesci
che’ duole piano
chi vuole darti
l’ amore che non sai farti.

*****

FAME

Come un guanto
solitudine feroce
traduce di te il vuoto
al posto della voce

la luce del pomeriggio
gli incanti dell’incudine del buio
hanno brillato gli occhi
nell’imbarazzo di un’audacia

forse che la mia attesa
fosse intanto far del tuo canto
un talismano, del tuo ascoltarmi
un vanto. Ma tanti venivano altri

intorno e tu dimenticavi
con fame di bambina, con la stessa
fretta in fretta barattavi
la mia distanza, tanta
con un contorno,
e la tua nuova pietanza.

*****

Daniela Favretti è nata a Ferrara nel 1962 sotto il segno del Capricorno, il film più visto al cinema quel giorno fu Il sorpasso di Dino Risi, Celentano cantava Nata per me, ma Daniela dimostrò fin da subito di essere nata per l’arte: illustratrice, poeta, pittrice, ha frequentato l’Accademia di Belle Arti e la Facoltà di Filosofia. Vive con Thea e Theo da oltre cinque anni.


giovedì 10 agosto 2023

Gianni Priano




IL PRIANESIMO IN QUANTO DISTINZIONE

Gianni Priano è come una temperatura percepita. Non è per come scrive, è per come arriva. Di lui so quel poco che ho potuto leggere e quel tanto che dicono i suoi occhi, te ne accorgi immediatamente che non ha frequentato luoghi comuni, sia chiaro, nulla di eclatante o di così detto speciale, Priano frequenta la normalità, quella vera, quella dove si confrontano  riflessione e consapevolezza. Scrivere è la parte di noi più vera che possiamo esprimere, come dipingere, come suonare. Non si possono affrontare queste tre discipline pensando di dover portare rispetto a qualcuno. Scrivere, dipingere, suonare, è un vibrare, aiuta a vivere meglio, questo è il messaggio che ho colto leggendo e ascoltando Gianni Priano, interprete del destino, conoscitore intrinseco del passato quando si annuncia a futuro. La poesia di Priano pare chiedere scusa di averti risvegliato, sebbene sia tu ad averla cercata, poiché il vero poeta non fa nulla per stanarti, spesso non si presenta neppure a se stesso, faticando a riconoscersi in ciò che gli altri apprendono da lui. Priano ci descrive un’umanità che non esiste più ma che in lui continua a vivere ogni giorno come fosse l’ultimo giorno, quello nel quale devi dire tutto senza lasciare nulla in sospeso e lo fa con la discrezione dei grandi, degli illuminati. Parafrasando Vitrac, il poeta genovese informa, l’ignaro, sul fallimento dello spirito moderno, ma Priano, a differenza dello scrittore francese, oltre a mantenere vivo un certo disappunto al riguardo del capitalismo, dimostra avere molta più cognizione di causa, creando l’effetto giusto in chi sa che l’uomo arriva sempre dopo la bestia, in chi sa che è l’uomo a ripararsi sotto a un albero e non si è mai visto un albero ripararsi sotto ad un uomo, a chi della poesia e della natura ne fa un manifesto. 



Gianni Priano è nato a Genova nel 1962, non so altro, lo immagino con paglia rollata di prima mattina e Campari, perché la sua lucidità è superiore. Pubblica libri da oltre trent’anni e va annoverato tra i facenti parte della “poesia dell’assurdo” per come descrive con garbo esemplare il catafascio dell’umanità. 



 (io amo i piccolissimi poeti)

Io amo i piccolissimi poeti .
gli idraulici che ascoltano nei tubi
parlare i morti e il carpentiere in ferro
rimasto appeso a un chiodo a penzolare
a centotrenta metri e vide il mondo
come volando  per un bel quarto d’ora
e poi si tirò su con le sue braccia
perché i soccorsi tardavano a venire. .
Mai scritto un rigo, non è del tutto vero
che è poeta chi scrive le poesie. .
Ma tra chi scrive, tolti i grandi morti
mi piacciono i poeti disarmati
scarsi di scuole e di letteratura
mi piace che chi scrive le poesie
lo faccia perché è la sua natura
l’annotazione, la verticalità 
lo sprofondare nella fogna buia
il risalire con un alleluia
scritto in faccia, prima, e poi su un foglio. .
Mi piace il poeta che alla fine
delle parole abbia solo voglia
di stare mani in tasca e naso all’ aria 
via dalla vanagloria letteraria.

*****

(sarò che cosa?)

Sarò che cosa? Un vecchio che vi scappa
un palloncino non di bel colore
come uno sputo in cielo, un professore
che non professa più ma è professato
dalla professione di malato.
Sarò alla fine- in pieno- realizzato 
con baci sulla punta delle dita
che immaginerò, con la partita
accesa sullo schermo mentre spengo
l’ultima luce in me che sono stato
un accensore del mio cuore andato
una buona volta a quel paese.
Non fatemi funzioni nelle chiese
neppure nella mia (che è la cristiana
a cui ho voluto bene, a modo mio)
ma salutate, sorridendo, Dio
col Padre Nostro detto da qualcuno
che lo sa dire. Salutate il mondo
con una strofa dell’ Internazionale
di Franco Fortini che vedrò
di sistemare dentro il comodino.
Non mi bruciate, non mi piace il fumo
di corpi umani, voglio ritornare
in pancia alla mia terra e verminare
comunemente, come a scivolare                                                                    

 con levità di soffione e piume                                                                     

barca di carta che se ne va nel fiume. 


*****

Il mare lo abbiamo guardato
e mescolato in ciotole
da pinzimonio. Io non ho
preso il largo, mai.
La vela era solo scena
e così il berretto
e le lezioni di cartografia.
Ma questo mare è un cane
bastardo che ringhia
(scuro come il catrame
verde come un'oliva)
e vuole annegare proprio

me, vecchio topo di riva.

*****

La parola dice poco. Se poi è una parola spessa, profonda dice ancora meno. Anche a uno come me che con le parole campa spesso prende la repulsione per questi segni scritti sui fogli, sugli schermi e nell’aria. Quelle di cui, poi, abusano i poeti e gli scrittori della domenica sono insostenibili. E insostenibili sono le mie parole superflue (tutte le mie parole sono superflue), le mie poesie ridicole e i miei racconti di cui non si sente il bisogno. I miei libri inutili. Non parlo solo per me ma anche per voi colleghi di penna, dita, lingua. Che quando va bene scrivete e bon, quando va male raccontate come lavorate sul linguaggio e fate le citazioni. E poi vi piacciono pure la barca a vela, l’alpinismo. E avete l’orto. Perché volete tutto, voi. Viaggiate. Siete informati. Avete un’opinione sui cumulonembi, su Giulio Regeni su Miles Davis e su Jennifer Lopez. E parlate. Ubriachi ai tavoli. Il venerdì sera. Godete con le parole. Ve le ficcate da tutte le parti. E nessuno che a testate vi spacchi i denti.
















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martedì 25 luglio 2023

Lara Pagani



IL ROMITAGGIO ELEGIACO DI LARA PAGANI

La poesia di Lara Pagani costruisce demolendo: è come un mare che tutto sopporta e tutto riporta a riva, mare capace di cullare o di travolgere senza lasciare scampo. Poesia capace di grandi slanci, pronti a commuovere il lettore, ma poi subito finisce la gioia e si rimane come barche prive di mare alcuno. Dov’è finito il mare? Dov’è finita Lara? Lara, come un mare, non è mai finita, lo sa bene chi ha imparato a leggerla e ad apprezzarla: perché la Pagani lascia comunque un’impressione positiva in quel suo muoversi tra rovine di pregio. Espone una collezione di magnificenti disastri, dove pare sentirsi a suo agio, tra distici amputati ed elegiache distrazioni non casuali, poiché la forma – in poesia – è il poeta: e l’unica regola vigente, in poesia, dovrebbe essere la sregolatezza di chi scrive versi di dolore superato, a volte incastrato o addirittura, come nel suo caso, incastonato. Le sue poesie sono trattati di teratologia dell’anima, la ricerca dell'essenziale mediante una semplicità di suoni, e distorsioni, disarmanti. Riesce a comunicare l'unicità del suo linguaggio tramite parole che tutti noi usiamo abitualmente, dipinge la miseria della disperazione umana, combattuta tra comodità e morale. Lara non va ingabbiata in luoghi comuni tipo la metrica, la punteggiatura, l'ovvietà del voler ricercare per ritrovarsi, lei non cerca nessuno, e tantomeno ricerca, si basta ma non lo sa, o forse sì, quello che non sa è quello che non vuole, lei sa come fare a farsi trovare, mostrando il suo lato emozionale e con struggente sfrontatezza ti sbatte in faccia la realtà. Sono i suoi tormenti, le sue agitazioni, a creare poesia, a convertire il disastro in capolavoro. Ad una prima lettura si potrebbe anche affermare che le poesie della Pagani abbiano i crismi di una rappresentazione hegeliana del suo mondo, ma Lara, a differenza di Hegel non dà nulla per scontato, nemmeno l’amore per quei riccioli biondi carne della sua carne. Si percepisce, dunque, la magia, in quel non farsi sottomettere dal proprio romitaggio, in quell'alone di dandismo con il quale tramuta le pozioni di inchiostro in immagini.

*****

Ho stretto amicizia con una pianta
dell’androne, accanto al portaombrelli.
Le racconto dei girasoli — di come 
è grande la mia gioia quando saltano
agli occhi da un cavalcavia: chissà 
se può immaginare i loro dolori. 
Vedo stralci di Milano dalle vetrate 
sbeccate del portone, uomini e donne 
con le buste della spesa, bambine
svelte sui gradini. Qualcuno c’è
che mi saluta senza più sorpresa.  

Da qualche mese vivo arresa —
accampata finché non torni  
in fondo alla rampa delle tue scale. 

*****

*rispondere*
Vivere non è un telefono che stacchi
con tutte le persone che ti cercano ancora dentro — ne senti le voci lontane
eppure riposi tale a una neonata,
sola come i felici. Vivere non finisce
così. Finisce che un giorno rispondi
degli atti compiuti col corpo fino in fondo.

*****

Questo amo di te: il tuo vuoto
di parole, il lapsus che ti racconta 
da un romanzo, la carezza invisibile 
a occhio nudo, la nuda mezza mela 
rimasta sul letto per errore. 


*****

Anche tu confermi che sono
un’imbranata. Nella vita di tutti 
i giorni non conto più le porte, gli spigoli
che prendo per distrazione, i caffè 
rovesciati al tavolino, il grado di tensione 
che mi porta a sbagliare le parole. 
Eppure a volte dici — mamma 
tu indovini il futuro, conosci tutti 
i miei segreti prima che li riveli, le canzoni
inglesi a memoria, non è che forse 
sei magica? Io ti stringo nello sguardo
per gli anni cupi, rispondo di sì. 

*****

Lara Pagani nasce nel 1986 vicino al mare, da una probabile staffetta con Simone de Beauvoir. È l'anno in cui Enrico Ruggeri pubblica l’album Enrico VIII (include il brano "Non finirà") l’anno del maxiprocesso alla mafia, di Cernobyl, della “mucca pazza”, ma Lara se ne frega, nasce e forse comincia a scrivere ancora prima di imparare a parlare, di sicuro sapeva già leggere. Laureata in lingue e letterature straniere, traduce testi dal tedesco, dal francese, dall’inglese. Forse fuma, ma non le Gauloises blu, suo colore preferito in tutte le sfumature antropologiche immaginabili.

 


ENCICLOPEDIA DEL FAR NIENTE la crestomazia sbriciolata di un sé - Nota critica di FRANCA ALAIMO e quattro poesie controindicate.

  In genere le sezioni di un libro servono a sottolineare le diverse tappe tematiche del discorso. Ed, invece, in "Enciclopedia del far...