giovedì 9 maggio 2024

Viviana Viviani

 




LA POESIA TOTALITARIA DI VIVIANA VIVIANI, ESTRO A PRIMA VISTA

Poi, si può dire che ognuno è bravo con le poesie degli altri rivedute e corrette, di Viviana Viviani no, non si può dire. Lei è capace, con le sue poesie, semplici, perentorie, inderogabili di estrarre il coniglio dal cilindro dell’ambiguo, svelandolo con il cinismo e l’impudenza tipica della bambina -per nulla- impazzita. Viviani è semplicemente Viviana, non dà nulla per scontato, con lucida ironia si mostra, fragile, sferzante, nuda come la donnina che vede passeggiare per strada e che poi all’improvviso scompare dalla vista ma non dalla mente, perché Viviana è la voce di tutti noi, di quello che siamo stati e abbiamo pensato almeno una volta nella vita e, attenzione, tutto ciò potrebbe apparire ovvio ma non è affatto così: Viviana possiede il tocco del fuoriclasse, di quelli che ne nasce uno (se va bene) per generazione. Le poesie di Viviana Viviani prendono vita senza complicazioni psicologiche dettate dalla necessità di trovare l’adatto, anzi, è proprio nell’inopportuno che lei trova la pertinenza, è nella fragilità che riesce ad esprimere tutta la sua potenza, senza timore alcuno di risultare inconsistente all’occhio intollerrante di una nicchia che spesso ricerca l'anticonformismo attraverso l’eclatante, senza trovarne mai la quadra. Viviani, con la parola, evoca la presenza del sentimento nell’attimo stesso in cui lo nega, sembra quasi volerci dire che l’unica vita possibile da affrontare, al riparo, sia una morte giovane.

 

 

 

A CHE DARO' IL TUO NOME

A che darò il tuo nome?

Che cosa ti assomiglia?

Forse a un cane docile

per crederti fedele

o a un gatto bugiardo

per impazzire a cercarlo,

la barca costa troppo

e non so navigare

e già in troppi racconti

sei vittima o assassino.

 

Se nulla ti assomiglia

non resta che una stella

a cui darò il tuo nome

la comprerò in offerta

da qualche truffatore

la comprerò in offerta

insieme a un frullatore.

 

***

 

 

FINGO DI NON AMARTI

Fingo di non amarti

rispondo tardi

mi sento scaltra

se sbaglio apposta

il nome dell'altra

mostro indifferenza

distrazione e assenza

dico stiamo insieme

finché stiamo bene

viviamo il presente

senza promesse

sotto queste sciocchezze

da donna cresciuta

tengo nascosta

la bambina impazzita.

 

***

 

QUEL GIORNO

Solo ieri rovesciavo formicai

lanciavo sassi nel sole

facevo correre cavalli in verticale

cucinavo a Ken torte invisibili

mi nascondevo dietro porte trasparenti

dalle maniglie d’oro e di diamanti.

 

Poi non so cosa accadde

come quando attendi l'ebollizione

dell'acqua o il sorgere del sole

fu solo un momento di distrazione

dormivo con il mio cane accanto

mi sveglia e lui era di pezza

e tutti gli altri giocattoli in soffitta.

 

Oggi ho una casa e un'automobile

quando si rompono le faccio aggiustare

mi sveglio tutti i giorni sempre uguale

addebiti accrediti cose da sbrigare

muovo i miei cavalli tre più due

e compro surgelati tre per due.

 

Oppure fu un genio cattivo, iracondo

a scacciarmi dal tempo infinito

dal centro del mondo.

 

 

***

Viviana Viviani è nata a Ferrara, a poca distanza dal Parco della luna. La leggenda narra che sia la figlia segreta, frutto di una relazione musicopoetica, di Lucio Dalla e Wislawa Szymborska. Non parla il polacco ma la sua biografia definitiva si chiamerà quasi certamente “25/1/74” perché a modo suo è un’artista, accarezzata dal genio pure lei.

giovedì 25 aprile 2024

Tania Chimenti

 


ESCO POCO DI TANIA – LA PAROLA LIBERATA DI TANIA CHIMENTI

A lungo, a lungo – fin dall’infanzia, fin da quando ho ricordo di me stessa- mi è sembrato di voler essere amata. Adesso io so che non mi serve l’amore, mi serve la comprensione.) Questi versi di Marina Cvetaeva, più di qualsiasi altro verso dell'universo, descrivono il fare poesia di Tania Chimenti. Una peculiare saggezza quella di Tania, appresa dallo sguardo di una finestra fronte albero, illuminata da un’emozione che si fa immagine attraverso la parola coltivata nella lucidità di un dolore, al fine quasi amato come si ama un amore finito. E con il dolore, Chimenti, sembra instaurare un rapporto epistolare composto da versi di leggerezza profonda, corrisposti da disegni di solitudine, a tratti impalpabile per via della delicatezza con la quale si esprime la poeta barese. Abbracciami cielo è un vademecum per imparare a gestire la solitudine, Chimenti ci insegna che siamo tutti estranei a noi stessi fino a quando non veniamo a conoscenza di non essere ciò che crediamo di essere e solamente entrando nel raggio del trapasso possiamo finalmente ricondurci a noi stessi. Possiamo definire la poetica di Tania Chimenti come l’approcciarsi non a un verso libero ma a un verso liberato.

 ***

ESCO POCO DI TANA

Esco poco di tana

faccio parte di quelle creature

che vivono sottoterra.

 

A volte scelgo il soprassuolo

con l'entusiasmo e la paura

del detenuto a fine pena

 

e con lo stesso spaesamento

del ricoverato nel giorno delle sue dimissioni.

 

Scavo ad occhi chiusi fori dell'anima

gallerie che dall'infanzia

mi proiettano al futuro.

 

Di notte nel mio rifugio

incontro quelle creature

che al mattino

non hanno nessuno.

.

***

CAMPANA TIBETANA

Non chiedermi di amarti

se imponi confini.

Non sono brava nella geometria.

Sono una funzione che tende all’infinito.

Mi piacciono quei baci che

iniziano con la consonante

e finiscono con la vocale,

Anzi non finiscono

Spogliano con gli occhi i sogni.

Non ti ho detto, ad esempio,

che la tua lingua è un martello di seta,

e la mia bocca una campana tibetana.

Il mio sangue ascolta le tue vibrazioni.

 

 

***

 

NON CI SFIORIAMO PIÙ

Non ci sfioriamo più

l’età adulta segna la fine

di un tempo che non c’è,

ricordo antico

materia per déjà vu.

Ma se un giorno

questo fiume

mostrerà la dolcezza della fine,

io mi farò lambire

senza lasciare traccia in questo finire.

Planerò come il gufo,

soffice rumore

estinguersi con passione.

 

 

***

 

IL MIO ALBERO

Il mio albero ha fitte foglie rosse

si è vestito d'imprevisto

 

Dono in una mattina

ha bussato sul mio cuore

con tanti rintocchi quante le sue foglie

 

Subito cielo

a far scorta d'ossigeno

 

E terra a offrire

nuove radici

le nostre

 

***

 

Tania Chimenti è subentrata a Delhy Tejero il 10 ottobre, alla vigilia delle Olimpiadi di Città del Messico. Abbracciami cielo (2023 WIP Edizioni) è la sua opera prima. Ama il mare e la cassata.


sabato 16 dicembre 2023

Romina Capo

 



LA POETICA CHIASTICA DI ROMINA CAPO

Romina Capo è un poeta sparpagliato nell’’universo, come le foglie: non riesco a trovarle una collocazione, un riferimento che mi possa rimandare ad altri poeti, ad altri scrittori forse, qualcosa, ma lei non fa solamente poesia, lei vive la poesia rimanendo fuori da tutto il resto. Leggendo i suoi versi ho imparato che di un dolore rimane sempre addosso l’odore, e questo è ciò che rimane della poesia di Romina una volta assimilata, anche se, durante una prima lettura dei suoi testi, ho spesso rischiato la banalità di cadere nel giudizio, dato che il ritmo imposto da Romina Capo si compone di un personalissimo look e risulta molto accattivante una volta che vi si riesce a entrare, a farne parte. Un linguaggio solido, già fin dalla sua prima breve composizione, “NaÏve”, confermato poi con “Appendici” -scaricabile gratuitamente online- Romina Capo sfoggia con maestria assoluta la difficoltà primaria di questo tempo, consistente nel riuscire a comunicare con il prossimo, a costruire relazioni che non siano solamente didascalie. Capo sa adoperare in maniera efficace le parole, sebbene si noti che non è assolutamente fatta per i giri di parole, lo si evince soprattutto dal lato passionale, quando lo esprime, dove pare non essere mai in bilico, dove tutto trema al cospetto del suo sguardo poetico. Praticità, legata a una (poco) velata tristezza e a un intrigante erotismo, una malinconia meriniana (se proprio devo citare un poeta) a dirigere il traffico di accadimenti. Testa sempre alta: vive sugli alberi la poesia di Romina Capo, e ci guarda tutti.




Romina Capo è nata a Venezia, sotto il segno dello scorpione, il giorno prima di Camille Rose Garcia e il giorno dopo Dennis Kelly. Abita il mondo. Altro.

Romina Capo - NaÏve (2007 - IL FILO)

Romina Capo - Appendici (2010 - Clepsydra Edizioni)

Romina Capo & Carmine Mangone - Eroticardio (2018- Maldoror press)

Romina Capo & Carmine Mangone - Più cocciuti della morte ( 2023 - Ab imis)

giovedì 23 novembre 2023

Paola Di Toro - Stato liquido

 



LA POESIA VISIONARIA DIPINTA DI BLU: PAOLA DI TORO  - STATO LIQUIDO

Quando mi sono accomodato sul divano della Di Toro inklines avevo considerato il titolo di questa raccolta come meta, invece la meta è stata la fluidità del “viaggio”.   La sua parte dura riposa in quel che rimane dentro di sé, scrive la poetessa molisana, ma leggendo Stato liquido mi è venuto il dubbio che Paola non  riposi mai, conforme al mare, mai ferma, e proprio il mare, adottato a metafora, è il protagonista di questa raccolta poetica. Con discreta precisione posso affermare che la Di Toro è divenuta poeta per “errore” [c’è un salto nel vuoto / ed una ferita.] saltando nel vuoto ha trovato un mare d’inchiostro a liberarla, a concederle l’opportunità di mettere in risalto la qualità della propria anima, liberata da che cosa sarà compito del lettore più attento portarlo alla luce attraverso un’attenta lettura. A tratti pare scriva col pensiero che nessuno la possa leggere, una sorta di diario intimo, mantenuto in ordine dagli scarabocchi procurati dalle insicurezze che ogni giorno appaiono sempre più grandi […un volo delle mani / che migra / e fa altra dimora ] sempre più incerte, come le domande a punto interrogativo fantasma che si pone [ Tu resti. (?)] Il mare è come il sangue (?) Il blu può essere considerato un sostituto del rosso? Queste domande che mi pongo, dopo avere letto Paola Di Toro, non richiedono una predisposizione alla risposta, la metafora della vita non ha mai una risposta che valga per tutti, ma nel caso specifico ho provato a dare una replica alla mia curiosità e l’ho trovata: [rimango / ancora aggrappata al tuo sangue come ci si aggrappa al pensiero del mare quando la vita trascorre senza scorrere: Stato liquido [Se ti va potremmo incontrarci in quei giorni che piove col sole… mentre di qua le teste rimangono e sono tutte bagnate]. Paola Di Toro entra nel buio dell’inchiostro per trovare luce, per donarla come si dona la gioia, certi passaggi la fanno apparire come la bambina all’esordio in mare, la quale sbatte le braccia per far schizzare l’acqua ed è felice, così la ritrovo quando più o meno sfumatamente descrive in versi il rapporto con le sue figlie, ciò che rimane alla fine di ogni caduta. L’alfabeto di Paola Di Toro non è composto di parole ma di sentimenti, serba in sé la memoria dell’acqua chele rimane dentro, forse da qui il suo essere accompagnata in ogni verso da una forma liquida di sdoppiamento, il sapersi destreggiare all’interno di un vuoto complice della fortuna di perdere il nome e avere soltanto le scarpe ad aspettarla: lei nata per attraversare, lui per percepire l’incendio. 

“…un fruscio di foglie

appese ai rami alti.”

Alcuni saggisti del novecento sostengono che la poesia illumini solo le premesse e gli effetti inerenti una crisi esistenziale, nella sua silloge Di Toro crea specchi di luce standosene rintanata nel buio. Facendo riferimento al verso riportato sopra: che sia, lei, il vento? Di Toro comunica lo stretto contatto tra l’invariabilità, e la possenza del masso e la incerta e vulnerabile coscienza. Dovremo forse attenderci, in futuro, un ulteriore consolidamento dello Stato liquido? A me la fluidità del suo istinto è piaciuta.

“Arriva il tempo

che ci rompe

in nuvole d’ossa.

E la china della luce

ci inginocchia.

Siamo esseri

in discesa

e la pietà sola

ci sospende

come esca che risale

dal fondo della terra.”

 

 *

Paola Di Toro è nata in un sabato di sole d'autunno in molise, vive a Campobasso. Non Beve, non fuma, ha la capacità di entrare nelle bolle di sapone senza farle esplodere. Stato liquido (DELTA3EDIZIONI) è la sua opera prima.

 

mercoledì 8 novembre 2023

ELISABETTA SANCINO l'ocra in punta di lingua

 


RISCATTARSI ATTRAVERSO LA MISERIA: L'OCRA IN PUNTA DI LINGUA di ELISABETTA SANCINO

Cercare di interpretare un poeta è un po' come cercare di dare un’esegesi al sogno: chi realmente può essere in grado di dare un significato ad esso? La nuova silloge di Elisabetta Sancino prende corpo dalle ceneri del bivio al quale l’umanità si è trovata di fronte. Difficile per ognuno di noi trovare o trovarsi una collocazione, meno complicato per il poeta che, a mio sentire, non sta mai dalla propria parte (almeno così dovrebbe essere) ma dalla parte dei dimenticati dalla vita. L’ocra in punta di lingua innalza lo spessore poetico, già di per sé elevato, di Elisabetta Sancino, lasciando trasparire una inversione di rotta rispetto al passato. Ora non è più lei a trovarsi al centro delle proprie attenzioni, ma bensì è lei attraverso gli altri, nello specifico la poetessa milanese narra la solitudine della metropoli vista attraverso gli occhi di una clochard indigena, soprannominata Boudicca la rossa per la sua propensione di indomita guerriera, una donna coraggiosa, scampata per propria scelta a una vita di soprusi, decisa ad abbandonare ogni cosa in cambio della propria libertà.  Boudicca mette a nudo la miseria, la sconfitta della persona normale, o normalizzata, aggrappata a qualsiasi comodità pur di non soccombere. Boudicca ci osserva, senza proferire parola, con i suoi occhi color azzurro infinito, tiene ogni giorno lezioni di vita nella Milano da bere, quella Milano che nessun poeta è mai riuscito a scrivere con così tanta attenzione come fa in questa silloge “la donna bionda che passa e sorride”, piccolo cameo che la poetessa si concede, in stile hitchcockiano, anche se l’orrore qui non ha attinenza alcuna, se non nell’indifferenza da noi portata, nella tendenza ad escludere persone che non fanno della viltà il proprio stile di vita. Boudicca pare avere una obiettività naturale di giudizio, frequentemente, infatti, si può captare una reiterazione nella descrizione ordinaria, che va a sottolineare e, paradossalmente, avvicinare l’opposizione tra l’osservare e l’essere osservati. Elisabetta Sancino argomenta la frammentazione del dolore, la vedo dipingere le proprie parole sui muri della stazione centrale, luogo dove sono ambientati alcuni estratti, intenta a cercare di dire brevemente quanto sia grande la sofferenza di una città sola, calpestata da centinaia di migliaia di persone ogni giorno. Questo è un lavoro importante, cancella d’emblée l’ipocrisia celata nella poesia “da branco”, svenduta alla temporaneità del successo. Anche la solitudine è come l’appartenere a un ceto, Sancino pare essere laureata in filofoschia, conosce quel buio che aggredisce, con i suoi lutti, ad ogni novembre i colori, le case. L’acre gentilezza del mattino rende più povera l’idea manifestata di interagire con eredi obsoleti di cara memoria. L’ocra in punta di lingua ci insegna che non ha senso provare pietà per il proprio corpo, la parola viene innescata dalla rivolta dell’istinto nei confronti del pensiero esterno. La metrica delle stagioni funziona se lo stupore d’erbe si erge a barriera tra i due confini che separano l’individuo dal prossimo suo. L’ocra in punta di lingua è una tentata fuga, applica la sparizione, che non necessariamente equivale a una morte fisica, come diversivo, altera il modo di vedere le cose, come una finzione non programmata si aggrappa ad essa, a quello che resta – al risveglio- di un sogno.

“Io non mi chiamo più
il mio nome è la scossa permanente
nei pantografi di piazza Cordusio è lo stupore di sapermi al mondo.”

Ho amato fin da subito questa silloge per un motivo in particolare: sovente leggo, nel poeta, l’assassino, il quale sembra dirti che è stato costretto ad uccidere poiché si è dovuto difendere, senza comprendere che il proprio compito sarebbe quello di diminuire il dislivello tra solitudine e società e non di contribuire ad ampliarlo. Invece esco da queste pagine convinto che la penna della Sancino sia l’unica arma di difesa che Boudicca e Milano abbiano a disposizione per farci capire dove e in cosa stiamo sbagliando, Sancino chiede parole di rondini in volo e non macchine e beni in superofferta, chiede di potersi svegliare sotto nuvole rosa per distinguersi dal grembo buio della città. Spero di aver recepito il messaggio trasmesso da quest'opera, di aver compreso il senso delle sfumature riflesse che vanno a completare le nostre mancanze. I ritratti sono pennellate di coscienza, con le quali riesce ad avvicinarsi alla morte da una prospettiva meno oscura di come viene immaginata. 

[…Accade spesso anche a te
debolmente felice oltre un vetro
ma ci sono cose che splendono.]

*
Elisabetta Sancino, da Inzago, festeggia il compleanno ogni 10 di novembre, è docente di lingua e letteratura inglese e guida turistica a Milano. Abbiamo 23 amici in comune su Facebook, non fuma, beve tè, adora viaggiare, ha pubblicato cinque raccolte di poesia:

Frammenti viola (2016 - 96, Rue, de-La-Fontaine)
Sbilanciamenti interiori (2017 - Vitale Edizioni)
Il pomeriggio della tigre (2018 . Terra d'Ulivi)
Collezione privata (2021- Puntoacapo)
L'ocra in punta di lingua (2023 - LietoColle)
*li ho letti tutti

giovedì 2 novembre 2023

Carmine Mangone




LA RIVOLUZIONE ANTI SEMIOTICA 

DI 

CARMINE MANGONE

 “Non ho mai avuto un alfabeto tranquillo, servile,
   le pagine le giravo sempre con il fuoco.”

Nessuno meglio di questo verso, di Claudio Lolli, credo sarebbe in grado di descrivere la poesia di Carmine Mangone, a mio modesto parere uno dei più grandi poeti viventi. “Incastrato tra fuoco e lacrime” è un capolavoro di lotta e resistenza, una silloge solitaria volta a schiantarsi contro il marasma del quotidiano sopore democratico.

“…lontano/nelle città dove si massacrano i/ bambini a colpi di favole/ il rigagnolo dei pensieri che io sono/ via crucis/ con fermate a richiesta dove scende la notte.”

Niente è più realistico dell’assurdo, Mangone questo lo ha compreso e, consapevole del fatto che solo nella lotta si è vivi, cerca di trasmettere la propria visione – anti semiotica – di un mondo ‘parcheggiato’ in divieto di sosta da oramai troppi lustri.
Pare di comprendere, dai suoi versi, che il vero rivoluzionario sia l’antirivoluzionario, lungimirante nella prospettiva che pure la morte vada guadagnata in questa società dove non si produce più nulla, nemmeno parole.

“sfidare le cose
armarsi del proprio sangue
banale squisitezza del dolore
il dramma nel corpo che è la vita.”

La poesia come scoscendimento di questa matrioska di modelli che formano il pianeta per disinformarlo attraverso un linguaggio minimale e insignificante. Mi rendo conto di avere tra le mani un oggetto ‘violento’, ‘sovversivo’, ma infinitamente prezioso, forse il più prezioso tra tutte le cose che abitano questa casa. L’unica cosa che posso fare, ora, è donarlo, divulgare a chi voglio bene questo pensiero, ho avuto la fortuna di averlo e come dice un antico proverbio; tutto ciò che dai è tuo per sempre, tutto ciò che tieni è perduto. Carmine Mangone è un figlio delle stelle, un gladiatore di espressione, un risvegliato.Y

“un cazzo coronato di spine
il vuoto osceno della morte
faccio cucù agli imbecilli
e ai loro impacchi di spirito santo”

CARMINE MANGONE – INCASTRATO TRA FUOCO E LACRIME ( CITY LIGHTS ITALIA – 1998) in appendice: ANCHE IERI HO DIMENTICATO DI MORIRE - seconda edizione (1993) e NON DENTRO METAFORA - Parigi 1998 (feat. ANTONIO BERTOLI)

giovedì 26 ottobre 2023

Patrizia Garofalo


 L'UNICA SUPERIORITÀ PRATICABILE È IL DUBBIO (il riff poetico di Patrizia Garofalo)

La poesia è nutrimento, così, come una buona pietanza si fa accompagnare da un buon vino, una buona poesia se accompagnata a buona musica migliora e ti migliora. Per l'esordio letterario di Patrizia Garofalo ho scelto un Brubeck d’annata e sono rimasto molto soddisfatto. La poesia della Garofalo è surrealismo dai piedi ben radicati sul reale, una cattività selvatica. “La complessità dello sguardo” è un titolo rilevante: racchiude una commistione tra paesaggio e prigionia. Da questa considerazione diventa fondamentale estrarne l’ora d’aria, punto indissolubile d’incontro tra mistero e ovvietà. La Garofalo sembra essere sempre dove non abita, un’isola mai nata, quasi destinata alla benevolenza delle maree, si definisce osservando il vento votato a mettere a nudo le trasparenze del mare. Confessa di avere intuito di come la maggior parte delle persone abbia smesso di vivere il reale, narra il suo sentirsi estranea attraverso l’inconsistenza e l’incapacità emotiva del prossimo al cospetto del risveglio. Trasparenze, fantasmi, da cosa si nasconde il poeta? L’uomo inerme che non si spaventa più nemmeno delle abominazioni dell’uomo, il mare come unico sconfinato limite, ma pur sempre fatto di acqua che scava come un dolore da narrare attraversando l’improbabilità del tempo tra le aurore sterminate. Poi ecco il sogno che riappare, a dire chi siamo o chi non siamo stati, o soltanto per aiutarci a conoscere la fine, quella fine che sappiamo bene dentro di noi, almeno la Garofalo l’ha intuita [… Il silenzio è una parola più lunga del dire…] ponendosi domande giuste, dubbi fuori dagli schemi. C’è, dentro ad ognuno di noi, un animale imprigionato, condannato a burocratica morte, la visione della poetessa cilentana potrebbe apparire come una arrendevole accettazione che il bello sia oramai nascosto da bambagie provenute da un altro tempo a ‘salvarla’ dalla ribellione degli occhi, perché questo tempo non è buono, è [un bagliore di cose inumate]. Ma Patrizia, armata di inchiostro, lotta, rimane sulla terra lasciando agli occhi la facoltà di un delirio proprio, incitando la natura a prendere il sopravvento, riflettendo il suo vecchio volto di ragazza perso ad ammirare la bellezza di una terra, che se fossi io -Dio- la eleggerei a paradiso “per il grembo triste di un’antica dea che qui smarrì la sua bellezza.” Ma l’improbabilità del tempo è inesorabile, macina ogni cosa, ogni dove, ogni pensiero… [… qui posso rivedermi com’ero, in un vecchio giardino che ora è quasi un cimitero.] Ognuno di noi, in fondo, proviene da quel luogo, lo si ricorda fin da bambini.

 *****

Patrizia Garofalo da Agropoli, segno del toro, in media una cinquantina di bagni in mare all’anno, intollerante all’uovo, sguardo di chi non fuma… ma mi sono sbagliato, mi ha poi detto che fuma. La complessità dello sguardo (L’argoLibro Editore 2019) è la sua prima silloge poetica pubblicata.

 

ENCICLOPEDIA DEL FAR NIENTE la crestomazia sbriciolata di un sé - Nota critica di FRANCA ALAIMO e quattro poesie controindicate.

  In genere le sezioni di un libro servono a sottolineare le diverse tappe tematiche del discorso. Ed, invece, in "Enciclopedia del far...