L'inchiostro per innaffiare le parole, così come l'acqua per innaffiare i fiori. E la neve? Forse come stato embrionale delle cose, dico forse perché non lo so: DOVE NEVICANO LE VIOLE è un viaggio verso e attraverso la fioritura del destino, Anna Maria si prende cura di questo giardino che è la vita, con le sue speranze, le sue delusioni, le sue amare verità, il suo portare attenzione. Quando leggo un libro di poesie sono molto meticoloso riguardo la lettura dei titoli, delle stesse, a volte i suddetti sono poesia nella poesia, non so se tutti coloro che leggono con trasporto una silloge fanno caso a questo, io sì, e se si volesse giocare con i titoli, oltre a scoprire la smisurata commistione che si riscontra tra l'anima di Anna Maria e i fiori (a mio parere, in questo caso, simbolo delle stagioni e degli accadimenti) si riuscirebbe a ricavare una poesia di grande intensità emotiva. La Scopa dà soltanto risposte, perché in natura non esistono domande, esiste solamente un tempo che trascorre senza passare, dove tutto fa parte del tutto, non si getta niente, nemmeno l'esperienza negativa: in lak'ech, sembra sussurrare Anna Maria alle sue creature, mentre dormono sotto una neve di viole scagliate da Cupido, in attesa del ripetersi di quel miracolo che chiamiamo amore. Nella silloge si respira anche una grande passione per il mare, Anna non lo dichiara apertamente ma il mare è il suo rifugio, il ritorno al proprio stato primordiale, la necessità che in alcuni periodi della vita si fa impellente, da qui forse l'urgenza di scrivere, di comunicare al mondo il proprio atto di coraggio: affrontare la vita, prendendosi cura dei fiori. Mi viene solo da chiederle: cosa succederebbe se il suo inchiostro smettesse all'improvviso di respirare? Smetterebbero di cadere le viole? Non mi interessa sapere la risposta che forse è l'oggetto stesso di questo libro, io me la sono data leggendolo, ma non ve la dico.
mercoledì 24 luglio 2024
DOVE NEVICANO LE VIOLE - LE VIRGOLE SOTTO IL SOLE DI ANNA MARIA SCOPA
martedì 23 luglio 2024
Giancarlo Sissa ARCHIVIO DEL PADRE
"Ma nell'ufficio delle cose perdute devo, in cambio dei vent'anni, ridare tutto quello che ho."
giovedì 9 maggio 2024
Viviana Viviani
LA POESIA TOTALITARIA DI VIVIANA VIVIANI, ESTRO A
PRIMA VISTA
Poi, si può dire che ognuno è bravo con le poesie
degli altri rivedute e corrette, di Viviana Viviani no, non si può dire. Lei è
capace, con le sue poesie, semplici, perentorie, inderogabili di estrarre il coniglio
dal cilindro dell’ambiguo, svelandolo con il cinismo e l’impudenza tipica della
bambina -per nulla- impazzita. Viviani è semplicemente Viviana,
non dà nulla per scontato, con lucida ironia si mostra, fragile, sferzante,
nuda come la donnina che vede passeggiare per strada e che poi all’improvviso
scompare dalla vista ma non dalla mente, perché Viviana è la voce di tutti noi,
di quello che siamo stati e abbiamo pensato almeno una volta nella vita e, attenzione,
tutto ciò potrebbe apparire ovvio ma non è affatto così: Viviana possiede il
tocco del fuoriclasse, di quelli che ne nasce uno (se va bene) per generazione.
Le poesie di Viviana Viviani prendono vita senza complicazioni psicologiche
dettate dalla necessità di trovare l’adatto, anzi, è proprio nell’inopportuno che
lei trova la pertinenza, è nella fragilità che riesce ad esprimere tutta la sua
potenza, senza timore alcuno di risultare inconsistente all’occhio intollerrante
di una nicchia che spesso ricerca l'anticonformismo attraverso l’eclatante, senza trovarne mai la quadra. Viviani, con la parola, evoca la presenza del
sentimento nell’attimo stesso in cui lo nega, sembra quasi volerci dire che l’unica
vita possibile da affrontare, al riparo, sia una morte giovane.
A CHE DARO' IL
TUO NOME
A che darò il
tuo nome?
Che cosa ti
assomiglia?
Forse a un
cane docile
per crederti
fedele
o a un gatto
bugiardo
per impazzire
a cercarlo,
la barca costa
troppo
e non so
navigare
e già in
troppi racconti
sei vittima o
assassino.
Se nulla ti
assomiglia
non resta che
una stella
a cui darò il
tuo nome
la comprerò in
offerta
da qualche
truffatore
la comprerò in
offerta
insieme a un
frullatore.
***
FINGO DI NON AMARTI
Fingo di non amarti
rispondo tardi
mi sento scaltra
se sbaglio apposta
il nome dell'altra
mostro indifferenza
distrazione e assenza
dico stiamo insieme
finché stiamo bene
viviamo il presente
senza promesse
sotto queste sciocchezze
da donna cresciuta
tengo nascosta
la bambina impazzita.
***
QUEL GIORNO
Solo ieri
rovesciavo formicai
lanciavo sassi
nel sole
facevo correre
cavalli in verticale
cucinavo a Ken
torte invisibili
mi nascondevo
dietro porte trasparenti
dalle maniglie
d’oro e di diamanti.
Poi non so
cosa accadde
come quando
attendi l'ebollizione
dell'acqua o
il sorgere del sole
fu solo un
momento di distrazione
dormivo con il
mio cane accanto
mi sveglia e
lui era di pezza
e tutti gli
altri giocattoli in soffitta.
Oggi ho una
casa e un'automobile
quando si
rompono le faccio aggiustare
mi sveglio
tutti i giorni sempre uguale
addebiti
accrediti cose da sbrigare
muovo i miei
cavalli tre più due
e compro
surgelati tre per due.
Oppure fu un
genio cattivo, iracondo
a scacciarmi
dal tempo infinito
dal centro del
mondo.
***
Viviana Viviani è nata a Ferrara, a poca distanza dal
Parco della luna. La leggenda narra che sia la figlia segreta, frutto di una
relazione musicopoetica, di Lucio Dalla e Wislawa Szymborska. Non parla il
polacco ma la sua biografia definitiva si chiamerà quasi certamente “25/1/74”
perché a modo suo è un’artista, accarezzata dal genio pure lei.
giovedì 25 aprile 2024
Tania Chimenti
ESCO POCO DI TANIA – LA PAROLA LIBERATA DI TANIA
CHIMENTI
A lungo, a lungo – fin dall’infanzia, fin da quando ho ricordo di me stessa- mi è sembrato di voler essere amata. Adesso io so che non mi serve l’amore, mi serve la comprensione.) Questi versi di Marina Cvetaeva, più di qualsiasi altro verso dell'universo, descrivono il fare poesia di Tania Chimenti. Una peculiare saggezza quella di Tania, appresa dallo sguardo di una finestra fronte albero, illuminata da un’emozione che si fa immagine attraverso la parola coltivata nella lucidità di un dolore, al fine quasi amato come si ama un amore finito. E con il dolore, Chimenti, sembra instaurare un rapporto epistolare composto da versi di leggerezza profonda, corrisposti da disegni di solitudine, a tratti impalpabile per via della delicatezza con la quale si esprime la poeta barese. Abbracciami cielo è un vademecum per imparare a gestire la solitudine, Chimenti ci insegna che siamo tutti estranei a noi stessi fino a quando non veniamo a conoscenza di non essere ciò che crediamo di essere e solamente entrando nel raggio del trapasso possiamo finalmente ricondurci a noi stessi. Possiamo definire la poetica di Tania Chimenti come l’approcciarsi non a un verso libero ma a un verso liberato.
***
ESCO POCO DI TANA
Esco poco di tana
faccio parte di quelle creature
che vivono sottoterra.
A volte scelgo il soprassuolo
con l'entusiasmo e la paura
del detenuto a fine pena
e con lo stesso spaesamento
del ricoverato nel giorno delle sue dimissioni.
Scavo ad occhi chiusi fori dell'anima
gallerie che dall'infanzia
mi proiettano al futuro.
Di notte nel mio rifugio
incontro quelle creature
che al mattino
non hanno nessuno.
.
***
CAMPANA TIBETANA
Non chiedermi di amarti
se imponi confini.
Non sono brava nella geometria.
Sono una funzione che tende all’infinito.
Mi piacciono quei baci che
iniziano con la consonante
e finiscono con la vocale,
Anzi non finiscono
Spogliano con gli occhi i sogni.
Non ti ho detto, ad esempio,
che la tua lingua è un martello di seta,
e la mia bocca una campana tibetana.
Il mio sangue ascolta le tue vibrazioni.
***
NON CI SFIORIAMO PIÙ
Non ci sfioriamo più
l’età adulta segna la fine
di un tempo che non c’è,
ricordo antico
materia per déjà vu.
Ma se un giorno
questo fiume
mostrerà la dolcezza della fine,
io mi farò lambire
senza lasciare traccia in questo finire.
Planerò come il gufo,
soffice rumore
estinguersi con passione.
***
IL MIO ALBERO
Il mio albero ha fitte foglie rosse
si è vestito d'imprevisto
Dono in una mattina
ha bussato sul mio cuore
con tanti rintocchi quante le sue foglie
Subito cielo
a far scorta d'ossigeno
E terra a offrire
nuove radici
le nostre
***
Tania Chimenti è subentrata a Delhy Tejero il 10 ottobre,
alla vigilia delle Olimpiadi di Città del Messico. Abbracciami cielo (2023 WIP
Edizioni) è la sua opera prima. Ama il mare e la cassata.
sabato 16 dicembre 2023
Romina Capo
LA POETICA CHIASTICA DI ROMINA CAPO
Romina Capo è un poeta sparpagliato nell’’universo,
come le foglie: non riesco a trovarle una collocazione, un riferimento che mi
possa rimandare ad altri poeti, ad altri scrittori forse, qualcosa, ma lei non
fa solamente poesia, lei vive la poesia rimanendo fuori da tutto il resto.
Leggendo i suoi versi ho imparato che di un dolore rimane sempre addosso
l’odore, e questo è ciò che rimane della poesia di Romina una volta assimilata,
anche se, durante una prima lettura dei suoi testi, ho spesso rischiato la
banalità di cadere nel giudizio, dato che il ritmo imposto da Romina Capo si
compone di un personalissimo look e risulta molto accattivante una volta che vi
si riesce a entrare, a farne parte. Un linguaggio solido, già fin dalla sua
prima breve composizione, “NaÏve”, confermato poi con
“Appendici” -scaricabile gratuitamente online- Romina Capo sfoggia con maestria
assoluta la difficoltà primaria di questo tempo, consistente nel riuscire a
comunicare con il prossimo, a costruire relazioni che non siano solamente
didascalie. Capo sa adoperare in maniera efficace le parole, sebbene si noti
che non è assolutamente fatta per i giri di parole, lo si evince soprattutto
dal lato passionale, quando lo esprime, dove pare non essere mai in bilico,
dove tutto trema al cospetto del suo sguardo poetico. Praticità, legata a una
(poco) velata tristezza e a un intrigante erotismo, una malinconia meriniana
(se proprio devo citare un poeta) a dirigere il traffico di accadimenti. Testa
sempre alta: vive sugli alberi la poesia di Romina Capo, e ci guarda tutti.
Romina Capo è nata a Venezia, sotto il segno dello scorpione, il giorno prima di Camille Rose Garcia e il giorno dopo Dennis Kelly. Abita il mondo. Altro.
Romina Capo - NaÏve (2007 - IL FILO)
Romina Capo - Appendici (2010 - Clepsydra Edizioni)
Romina Capo & Carmine Mangone - Eroticardio (2018- Maldoror press)
Romina Capo & Carmine Mangone - Più cocciuti della morte ( 2023 - Ab imis)
giovedì 23 novembre 2023
Paola Di Toro - Stato liquido
LA POESIA VISIONARIA DIPINTA DI BLU: PAOLA DI TORO - STATO LIQUIDO
Quando mi sono accomodato sul divano della Di Toro inklines
avevo considerato il titolo di questa raccolta come meta, invece la meta è
stata la fluidità del “viaggio”. La sua parte dura riposa in quel che rimane
dentro di sé, scrive la poetessa molisana, ma leggendo Stato liquido mi
è venuto il dubbio che Paola non riposi
mai, conforme al mare, mai ferma, e proprio il mare, adottato a metafora, è il
protagonista di questa raccolta poetica. Con discreta precisione posso
affermare che la Di Toro è divenuta poeta per “errore” [c’è un salto nel vuoto /
ed una ferita.] saltando nel vuoto ha trovato un mare d’inchiostro a liberarla,
a concederle l’opportunità di mettere in risalto la qualità della propria
anima, liberata da che cosa sarà compito del lettore più attento portarlo alla
luce attraverso un’attenta lettura. A tratti pare scriva col pensiero che nessuno
la possa leggere, una sorta di diario intimo, mantenuto in ordine dagli
scarabocchi procurati dalle insicurezze che ogni giorno appaiono sempre più
grandi […un volo delle mani / che migra / e fa altra dimora ] sempre più
incerte, come le domande a punto interrogativo fantasma che si pone [ Tu resti.
(?)] Il mare è come il sangue (?) Il blu può essere considerato un sostituto
del rosso? Queste domande che mi pongo, dopo avere letto Paola Di Toro, non
richiedono una predisposizione alla risposta, la metafora della vita non ha mai
una risposta che valga per tutti, ma nel caso specifico ho provato a dare una
replica alla mia curiosità e l’ho trovata: [rimango / ancora aggrappata al
tuo sangue come ci si aggrappa al pensiero del mare quando la vita trascorre
senza scorrere: Stato liquido [Se ti va potremmo incontrarci in
quei giorni che piove col sole… mentre di qua le teste rimangono e sono tutte
bagnate]. Paola Di Toro entra nel buio dell’inchiostro per trovare luce, per
donarla come si dona la gioia, certi passaggi la fanno apparire come la bambina
all’esordio in mare, la quale sbatte le braccia per far schizzare l’acqua ed è
felice, così la ritrovo quando più o meno sfumatamente descrive in versi il
rapporto con le sue figlie, ciò che rimane alla fine di ogni caduta. L’alfabeto
di Paola Di Toro non è composto di parole ma di sentimenti, serba in sé la
memoria dell’acqua chele rimane dentro, forse da qui il suo essere accompagnata
in ogni verso da una forma liquida di sdoppiamento, il sapersi destreggiare
all’interno di un vuoto complice della fortuna di perdere il nome e avere
soltanto le scarpe ad aspettarla: lei nata per attraversare, lui per percepire
l’incendio.
“…un fruscio di foglie
appese ai rami alti.”
Alcuni saggisti del novecento sostengono che la poesia
illumini solo le premesse e gli effetti inerenti una crisi esistenziale, nella
sua silloge Di Toro crea specchi di luce standosene rintanata nel buio. Facendo
riferimento al verso riportato sopra: che sia, lei, il vento? Di Toro comunica
lo stretto contatto tra l’invariabilità, e la possenza del masso e la incerta e
vulnerabile coscienza. Dovremo forse attenderci, in futuro, un ulteriore consolidamento
dello Stato liquido? A me la fluidità del suo istinto è piaciuta.
“Arriva il tempo
che ci rompe
in nuvole d’ossa.
E la china della luce
ci inginocchia.
Siamo esseri
in discesa
e la pietà sola
ci sospende
come esca che risale
dal fondo della terra.”
Paola Di Toro è nata in un sabato di sole d'autunno in molise, vive a Campobasso. Non Beve, non fuma, ha la capacità di entrare nelle bolle di sapone senza farle esplodere. Stato liquido (DELTA3EDIZIONI) è la sua opera prima.
mercoledì 8 novembre 2023
ELISABETTA SANCINO l'ocra in punta di lingua
RISCATTARSI ATTRAVERSO LA MISERIA: L'OCRA IN PUNTA DI LINGUA di ELISABETTA SANCINO
Cercare di interpretare un poeta è un po' come cercare di dare un’esegesi al sogno: chi realmente può essere in grado di dare un significato ad esso? La nuova silloge di Elisabetta Sancino prende corpo dalle ceneri del bivio al quale l’umanità si è trovata di fronte. Difficile per ognuno di noi trovare o trovarsi una collocazione, meno complicato per il poeta che, a mio sentire, non sta mai dalla propria parte (almeno così dovrebbe essere) ma dalla parte dei dimenticati dalla vita. L’ocra in punta di lingua innalza lo spessore poetico, già di per sé elevato, di Elisabetta Sancino, lasciando trasparire una inversione di rotta rispetto al passato. Ora non è più lei a trovarsi al centro delle proprie attenzioni, ma bensì è lei attraverso gli altri, nello specifico la poetessa milanese narra la solitudine della metropoli vista attraverso gli occhi di una clochard indigena, soprannominata Boudicca la rossa per la sua propensione di indomita guerriera, una donna coraggiosa, scampata per propria scelta a una vita di soprusi, decisa ad abbandonare ogni cosa in cambio della propria libertà. Boudicca mette a nudo la miseria, la sconfitta della persona normale, o normalizzata, aggrappata a qualsiasi comodità pur di non soccombere. Boudicca ci osserva, senza proferire parola, con i suoi occhi color azzurro infinito, tiene ogni giorno lezioni di vita nella Milano da bere, quella Milano che nessun poeta è mai riuscito a scrivere con così tanta attenzione come fa in questa silloge “la donna bionda che passa e sorride”, piccolo cameo che la poetessa si concede, in stile hitchcockiano, anche se l’orrore qui non ha attinenza alcuna, se non nell’indifferenza da noi portata, nella tendenza ad escludere persone che non fanno della viltà il proprio stile di vita. Boudicca pare avere una obiettività naturale di giudizio, frequentemente, infatti, si può captare una reiterazione nella descrizione ordinaria, che va a sottolineare e, paradossalmente, avvicinare l’opposizione tra l’osservare e l’essere osservati. Elisabetta Sancino argomenta la frammentazione del dolore, la vedo dipingere le proprie parole sui muri della stazione centrale, luogo dove sono ambientati alcuni estratti, intenta a cercare di dire brevemente quanto sia grande la sofferenza di una città sola, calpestata da centinaia di migliaia di persone ogni giorno. Questo è un lavoro importante, cancella d’emblée l’ipocrisia celata nella poesia “da branco”, svenduta alla temporaneità del successo. Anche la solitudine è come l’appartenere a un ceto, Sancino pare essere laureata in filofoschia, conosce quel buio che aggredisce, con i suoi lutti, ad ogni novembre i colori, le case. L’acre gentilezza del mattino rende più povera l’idea manifestata di interagire con eredi obsoleti di cara memoria. L’ocra in punta di lingua ci insegna che non ha senso provare pietà per il proprio corpo, la parola viene innescata dalla rivolta dell’istinto nei confronti del pensiero esterno. La metrica delle stagioni funziona se lo stupore d’erbe si erge a barriera tra i due confini che separano l’individuo dal prossimo suo. L’ocra in punta di lingua è una tentata fuga, applica la sparizione, che non necessariamente equivale a una morte fisica, come diversivo, altera il modo di vedere le cose, come una finzione non programmata si aggrappa ad essa, a quello che resta – al risveglio- di un sogno.
Ho amato fin da
subito questa silloge per un motivo in particolare: sovente leggo, nel poeta,
l’assassino, il quale sembra dirti che è stato costretto ad uccidere poiché si
è dovuto difendere, senza comprendere che il proprio compito sarebbe quello di
diminuire il dislivello tra solitudine e società e non di contribuire ad
ampliarlo. Invece esco da queste pagine convinto che la penna della Sancino sia
l’unica arma di difesa che Boudicca e Milano abbiano a disposizione per farci
capire dove e in cosa stiamo sbagliando, Sancino chiede parole di rondini in
volo e non macchine e beni in superofferta, chiede di potersi svegliare
sotto nuvole rosa per distinguersi dal grembo buio della città. Spero di aver
recepito il messaggio trasmesso da quest'opera, di aver compreso il senso delle
sfumature riflesse che vanno a completare le nostre mancanze. I ritratti sono
pennellate di coscienza, con le quali riesce ad avvicinarsi alla morte da una
prospettiva meno oscura di come viene immaginata.
ENCICLOPEDIA DEL FAR NIENTE la crestomazia sbriciolata di un sé - Nota critica di FRANCA ALAIMO e quattro poesie controindicate.
In genere le sezioni di un libro servono a sottolineare le diverse tappe tematiche del discorso. Ed, invece, in "Enciclopedia del far...
-
Elena Milani LE RONDINI AL RITORNO Vi sono pagine di poesia che trasmettono l'urgenza di farsi ascoltare. L'efficacia poetica di...
-
CARMINE MANGONE - NOSTRA POESIA DEI LUPI (NAUTILUS 2022) IL DISARMATO INCANTO DEL MANGONE "Sono pronto. A fare cosa?" Carmine M...
-
[Ogni giorno dai vasi/ sul balcone affiora/ alla luce un altro fiore… Poi tutto scompare/ fiori d’oro, arance/ mal di luce.] Mi avvalgo d...




